da Torino
Prima dei neonati, furono i cani e i gatti, cuccioli anche quelli. La melamina ne uccise a centinaia l'anno scorso negli Stati Uniti. Venne trovata nelle confezioni di alimenti per animali e le autorità sanitarie furono costrette a disporre il ritiro dal commercio di numerose marche, ma questo non servì a evitare le stragi. «I cuccioli morivano dopo aver consumato mangimi contaminati che arrivavano dalla Cina. In particolare, la melamina venne individuata nella farina di riso addizionata al cibo in scatola. Alla luce di questo particolare, credo esista il rischio che il problema non riguardi solamente latte e suoi derivati».
Non è tipo da allarmismo facile Maria Caramelli, dirigente dell'Istituto zooprofilattico sperimentale (Izs) di Piemonte, Liguria e Valle D'Aosta. Abituata alle analisi scientifiche, lei, che guida la struttura capofila in Italia per la lotta alla sindrome della mucca pazza, dopo influenza aviaria e Sars guarda al nuovo incubo sanitario proveniente dalla Cina con un occhio rivolto al passato. «Gli animali si sono rivelati di nuovo preziose sentinelle - dice -, forse bisognava prestar loro più attenzione. Per esempio, non è un caso che si siano ammalati più i gatti dei cani: i primi hanno reni più delicati. Non è un caso neppure che la contaminazione abbia provocato più vittime tra i cani di piccola taglia, come negli esseri umani».
L'Izs dove opera Caramelli, che ha il suo quartier generale a Torino, fu tra i pochi a non aver ignorato i segnali provenienti da oltre Oceano. Quasi subito fece partire una nuova attività di analisi nel laboratori del suo Centro di referenza per il controllo dell'alimentazione degli animali e già nell'estate del 2007, quando ancora la melamina era una sostanza sconosciuta al grande pubblico, sviluppò un metodo quantitativo per la ricerca del pericoloso contaminante nei mangimi e nelle materie prime vegetali. «Fino a oggi al Creaa torinese sono state eseguite 160 analisi su campioni provenienti da tutto il territorio nazionale - certifica Caramelli - e in due casi abbiamo riscontrato la presenza di melamina. Entrambi erano materie prime vegetali». Due positività su centosessanta test effettuati sembrerebbero un'inezia. «Invece no, non sono un buon segnale - corregge l'esperta torinese -. L'attuale sistema di importazione ha allungato a dismisura la catena alimentare e i prodotti provenienti dall'Asia sono ben lontani dalla capillarità di controlli cui invece sono sottoposte le produzioni europee».
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