A volte bisogna partire da cose piccolissime, come i microbi. «Nel nostro intestino ce ne sono centomila miliardi. Noi siamo fatti da cinquantamila miliardi di cellule, ma i microbi sono molti di più. È che sono piccoli... Pensi in un bacio quanti ce ne scambiamo: una promiscuità meravigliosa. I microbi lavorano per noi. Solo che noi mangiamo sempre più cibo sterile: nell'insalata già lavata che compriamo al supermercato non c'è niente, è pulita col cloro; ed è giusto che sia così. Se invece mangiamo il cibo dell'orto, mangiamo anche i microbi. Vede questo qui davanti? È un orto sinergico: in un centimetro cubo di terreno ci sono dieci milioni di microbi». Franco Berrino, medico, epidemiologo, storico direttore del dipartimento di Medicina preventiva e predittiva dell'Istituto nazionale dei tumori di Milano, da quarant'anni si occupa di ricerca e prevenzione e, in particolare, del rapporto fra il nostro stile di vita e la nostra salute. Per questo mostra il «suo» orto, proprio a due passi dall'Istituto di via Venezian, un punto di riferimento in tutta Italia per chi è malato di cancro. Perché ciò che mangiamo è una componente fondamentale dello stile di vita; e che quest'ultimo possa aiutare a prevenire alcune delle malattie croniche che tormentano gli uomini e le donne del Ventunesimo secolo è ormai considerato un fatto. Anche grazie agli studi e alle sperimentazioni che lo stesso Berrino ha aiutato a condurre (l'ultimo è il progetto MeMeMe sulla sindrome metabolica, per il quale si recluteranno volontari over 50 fino a luglio). Decenni di ricerche lo hanno portato a tracciare una specie di strada, che lui ha chiamato La Grande Via (titolo del libro da lui scritto con Luigi Fontana l'anno scorso, pubblicato da Mondadori e diventato un bestseller); ora ha deciso di approfondirla, delineando un tragitto alla portata di tutti, almeno apparentemente, vista la brevità temporale: Ventuno giorni per rinascere. Il percorso che ringiovanisce corpo e mente (Mondadori, pagg. 360, euro 20). E chi non vorrebbe ringiovanire nel fisico e nella testa? Infatti il saggio è tra i più venduti nella classifica della Varia da molte settimane. Lo ha scritto con Daniel Lumera (esperto di meditazione) e David Mariani (allenatore con quarant'anni di esperienza). Berrino è il medico dei tre, anche se non indossa il camice bianco, bensì un gilet che ricorda le montagne del Nepal...
Franco Berrino, perché abbiamo bisogno di rinascere?
«Perché siamo morti. La nostra consapevolezza è morta. Viviamo in una società in cui siamo distaccati dalla natura, dalla vita dei campi e della produzione agricola. Nei nostri ambienti c'è sempre un video acceso, che cerca di distrarci dalla cosa fondamentale».
Cioè?
«La consapevolezza di sé, di esistere. È questo genere di risveglio, che cerca di ottenere la maggior parte delle pratiche spirituali».
«Consapevolezza» non è anche una parola un po' abusata?
«È molto abusata, anche oggi. Ma tutta la nostra tradizione culturale e filosofica, dalla Grecia antica in poi è basata su questa ricerca del senso della nostra vita. E anche nelle filosofie orientali, la domanda è sempre la stessa: che cosa siamo venuti a fare sulla Terra».
Cita spesso la filosofia orientale.
«Racconto di quattro bodhisattva, i guardiani della consapevolezza. Il Guardiano del Dharma dell'Est ha in mano un liuto, il simbolo dell'equilibrio e della nostra responsabilità. Il Guardiano del Sud ha una spada e un anello. La spada serve per dirimere il vero dal falso, l'anello è la perfezione delle relazioni armoniose».
Dove si trovano questi Guardiani?
«In tutti i templi buddisti ci sono le loro immagini. A Khatmandu una volta ho chiacchierato con alcuni monaci, e loro non ne conoscevano il significato... Poi c'è il Guardiano dell'Ovest, che in una mano ha una piccola stupa, il tempio, e nell'altra un serpente, o un drago: il simbolo dell'impermanenza. Perché tutto cambia ma, in questo cambiamento, possiamo avere una guida. L'ultimo, il Guardiano del Nord, ha un ombrello, che serve a difenderci dai pregiudizi, e una mangusta, la quale mangia il serpente, che è simbolo della bramosia e della cupidigia».
Perché parla di questi bodhisattva?
«Questo libro per me è un invito a riflettere sul senso della nostra vita e sul modo in cui la conduciamo. Non c'è niente di nuovo: le risposte vengono dai grandi saggi del passato. La Grande Via del cibo, del movimento fisico e della meditazione ci viene insegnata da migliaia di anni da questi meravigliosi sapienti».
Non c'è niente di nuovo allora?
«Di nuovo c'è che possiamo valutare questa Grande Via scientificamente. La ricerca ci mostra che con il cibo che mangiamo influenziamo il comportamento dei nostri geni. Cioè possiamo attivarne alcuni e disattivarne altri. E lo stesso possiamo fare con il movimento e con la nostra mente».
La meditazione influenza i geni?
«Gli studi sui meditatori mostrano, attraverso prelievi di sangue prima e dopo una seduta, che queste pratiche attivano decine di geni; e ne disattivano altrettanti, fra cui i geni dell'infiammazione, quella infiammazione cronica che favorisce le malattie croniche della nostra epoca: diabete, infarto, cancro, ictus, Alzheimer. Questo nostro modo inconsapevole di vivere, in cui passano anni e anni senza che ci prendiamo un momento a riflettere su quello che facciamo, aumenta lo stato di infiammazione cronica e, quindi, le malattie. Ora, noi vogliamo l'evoluzione spirituale per la sua importanza, non per non ammalarci, che è un effetto collaterale. Questo è l'insegnamento dei grandi maestri».
E come si traduce in realtà?
«Per crescere bisogna lasciare andare qualcosa. Quando ho incontrato il Dalai Lama mi ha detto: non ci preoccupiamo di fare proselitismo, noi invitiamo le persone a ridare valore alla strada spirituale della loro stessa tradizione».
Che altro le ha detto il Dalai Lama?
«Voi occidentali siete più avanti nella cura del corpo, ma noi in quella della mente... Dice il Tao che chi studia aumenta se stesso; chi segue il Tao, diminuisce se stesso. E poi: la debolezza è la mia forza, qualcosa che vale anche per le malattie».
Non è facile...
«Dice anche: Il ritorno è la mia legge. Tutto si può fare nella vita. Posso mangiare al fast food o strafogarmi in pasticceria, pur di avere poi il riflesso di tornare al centro, verso l'equilibrio».
In che cosa consiste questo equilibrio?
«Mangiare tutti i giorni cereali integrali, legumi, verdure e frutta. La dieta mediterranea antica. Questo dice il Codice europeo contro il cancro. La gente mi chiede: come faccio a mangiare legumi tutti i giorni? Ma fino a pochi decenni fa, i contadini del Sud Italia ogni giorno mangiavano cereali e legumi, come del resto hanno fatto per millenni tutti i popoli, a parte gli eschimesi».
Che altro raccomanda il Codice?
«Evitare le bevande zuccherate, le carni lavorate e conservate; limitare le carni rosse e i cibi ad alta densità calorica, come quelli già pronti, le merendine e i dolciumi, poi limitare l'alcol e i cibi molto salati. In più fare attività fisica tutti i giorni e mantenersi snelli. Se l'intestino funziona bene, funziona bene il sistema immunitario».
E il pesce?
«Io avevo insistito per un cenno all'utilità del pesce, ma non tutte le ricerche mostrano una protezione. Però nessuno studio ha trovato un rischio derivante dal pesce. Io dico - ma è una raccomandazione personale - di mangiare spesso pesce pescato e di piccola taglia».
Il problema è il cibo spazzatura?
«Non tutto il cibo confezionato è spazzatura. Il problema è quello che viene definito ultraprocessed, superlavorato: bevande zuccherate, merendine, cibo industriale già pronto. C'è uno studio francese recente, condotto su centomila persone, che ha classificato le abitudini alimentari di chi consuma questo genere di alimenti».
E...?
«E c'è un aumento lineare delle possibilità di ammalarsi di cancro in parallelo con il consumo di questo cibo, che da noi in Europa è pari a circa il venti per cento di quello che mangiamo. Il 25 per cento della popolazione che ne mangia di più ha il 23 per cento di rischio in più di ammalarsi, rispetto al 25 per cento di chi ne mangia di meno. Dopo la menopausa, per il cancro alla mammella quel rischio supera il 40 per cento. Poi c'è anche il cibo spazzatura emozionale».
Che cos'è?
«Rabbia, rancore, frustrazione, tristezza, depressione. Bisogna perdonare se stessi, il padre, la madre, e chiedere loro perdono... Fra i pazienti che incontro ci sono alcune persone che covano risentimenti da trent'anni. Allora a queste persone io prescrivo le ricette di cucina, ma anche qualche ricetta sciamanica, perché si liberino dai rancori, che fanno male alla salute».
Perché servono ventuno giorni per rinascere?
«Sette per tre, due numeri magici. Sono anche i ventuno giorni di digiuno di Daniele, nella Bibbia. Alcuni studi sui topi dicono che siano i giorni sufficienti per stabilire una abitudine».
Che cos'è la «Grande Via»?
«È la via per la longevità in salute. Negli ultimi quarant'anni la speranza media di vita è aumentata di dieci anni: da 70 a 80 per gli uomini e da 75 a 85 per le donne. Questo grazie ai successi della medicina, dei farmaci e di tecnologie sanitarie, diagnostiche e di intervento straordinarie. Però il 90 per cento della popolazione sopra i 65 anni deve prendere quotidianamente dei farmaci. Quindi abbiamo una longevità non autonoma, a causa di condizioni patologiche che potrebbero essere evitate con la prevenzione, cambiando il nostro stile di vita».
È che questa «Grande Via» mette un po' di ansia...
«Ansia no... Mariani raccomanda di cominciare per gradi. Serve un mese solo per cambiare la flora intestinale e abituarla a digerire le fibre. Bisogna introdurre i cibi integrali, o i legumi, di settimana in settimana».
Ci si sente addosso una grande responsabilità.
«Il nostro modo di vivere è cambiato negli ultimi cinquant'anni. Dobbiamo chiederci se non valga la pena di tornare un po' indietro su alcune cose... Per esempio, la religione non attira più, ma le pratiche religiose hanno una funzione fisiologica».
Per esempio?
«Recitare il rosario, pregare ad alta voce attiva il nervo vago e tranquillizza il nostro corpo. È un antistress. Uno studio dell'Università di Harvard su 120mila infermiere, reclutate quarant'anni fa, dimostra che, a parità di reddito, età, stile di vita e ogni altra causa di mortalità, questa è ridotta del 33 per cento per chi frequenta il tempio almeno due volte a settimana. E la protezione è ancora più alta per le afroamericane».
Perché?
«Perché cantano, in chiesa. Allora io dico: se sei religioso, canta; e, se non lo sei, canta lo stesso. Poi tutti moriamo, alla fine, eh...».
Anche il digiuno è una pratica spirituale utile?
«Io l'ho appena fatto a Pasqua. Serve a liberare i miei neuroni dai depositi di proteine, che ne ostacolano il buon funzionamento. Tre anni fa sono arrivato a dieci giorni di digiuno, anche per sperimentare quello che prescrivo ai miei pazienti».
Come è andata?
«Bevevo molto: acqua, tè, tisane. Al terzo giorno avevo la nausea, ma dopo sette ero di una lucidità estrema. Ho finito di scrivere il mio primo libro. Dopo ho mangiato un brodo senza sale, fatto con carote, cipolle e sedano».
E il movimento fisico?
«Siamo diventati tutti sedentari, è chiaro. Una pratica di attività fisica fra i trenta e i sessanta minuti al giorno riduce enormemente la mortalità, a parità di fattori. Camminata veloce, palestra: l'importante è farlo ogni giorno. E cominciare con poco: dieci minuti a passo veloce ce la fanno tutti a farli, anche chi è sovrappeso. Poi pian piano si aumenta».
Le abitudini che considera proprio pessime?
«Patatine, salumi, l'happy hour con la bibita. O la pizza con la bibita. Meglio la birra...».
Dormiamo troppo poco?
«Nella vita di oggi è in corso un grande attentato al nostro sonno. Un neurologo di recente ha detto: la sveglia non è da puntare al mattino; è da mettere alla sera, per andare a letto».
A quale età bisogna cominciare a seguire tutti questi consigli?
«Penso, compiuto un anno, si possa iniziare... Però c'è una bella notizia».
Quale sarebbe?
«Possiamo cominciare anche a settant'anni, e possiamo recuperare la nostra salute. Ma perché aspettare? Cominciamo subito, con gioia».
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