Coraggio, morte e logistica. Nel giorno più lungo cadde la fortezza Europa

Il saggio di Russell A. Hart aiuta a capire la genesi di una delle operazioni militari più complesse di sempre

Coraggio, morte e logistica. Nel giorno più lungo cadde la fortezza Europa

Un ferito, un morto, un disperso. Il destino individuale di ogni fante nelle tempeste d'acciaio finisce sempre per assomigliare a questo, anche e soprattutto sulle spiagge della Normandia. I destini collettivi, prima che la propaganda passi a distribuire medaglie, bandiere sulle bare, e cinegiornali roboanti, potrebbero non essere molto più rassicuranti. Dei vincitori che scoprono quanto costa vincere sbarcando all'inferno. Degli sconfitti che sono, molto spesso, o troppo vecchi o troppo giovani per maledire la follia di chi li ha spediti a difendere un vallo atlantico che non può reggere e che, quindi, fa tracimare lo sbarco militare più grande di sempre.

Si potrebbe ricostruire così, riducendo tutto all'osso doloroso della guerra, quel giorno infinito di ottanta anni fa, quando a partire dalle 00:15 iniziarono a decollare i primi tra le migliaia di aeroplani ed alianti che trasportavano le truppe pronte a lanciarsi o a planare sulla Francia. Seguirono migliaia di caccia e bombardieri (in totale vennero utilizzati 13mila apparecchi) che iniziarono a colpire le difese tedesche proprio poco prima che aprissero il fuoco 600 cannoni navali. E poi uno sbarco folle dove i carri armati anfibi più sofisticati affondavano e i fanti guidati dal suono delle cornamuse riuscivano a passare.

Non riducendola all'osso, invece, quella battaglia rischia di restare per sempre irracontabile. Semplicemente troppo, una gigantesca macchina di morte e di trionfo con troppi ingranaggi, fatti di carne, per poterne seguire il movimento. Ora che di reduci ne restano pochissimi, solo l'infinità di lapidi può rendere l'idea di che cosa siano stati il D-Day e i giorni a seguire. Senza quei ragazzi che con coraggio incosciente balzarono giù dai mezzi da sbarco sperando di non finire direttamente in bocca a una Maschinengewehr 42 o su una mina, l'Europa sarebbe diversa. Dentro la battaglia in Normandia si potrebbero raccontare migliaia e migliaia di storie. C'è William Millin, che suonava The Road to the Isles, Highland Laddie e Blue Bonnets Over the Border alla cornamusa mentre i britannici combattevano a Sword. C'è l'esperto tenente colonnello della Wehrmacht Friedrich von der Heydte, che con i suoi paracadutisti tedeschi schierati alla base della penisola del Cotentin reagisce rapidissimamente contro gli uomini della 101ª aviotrasportata americana che scendono dal cielo. Cattura numerosi prigionieri nelle prime ore. E poi bersaglia di comunicazioni il generale Marcks per avvisarlo che aveva certamente avuto inizio l'invasione. Ci sono i ranger americani a Pointe du Hoc che scalano una scogliera impossibile con delle scale di corda sparate in alto con dei razzi. Una lotta folle per conquistare quelle che dovrebbero essere le batterie costiere più temibili. Quando i ranger ebbero sanguinosamente la meglio si accorsero che gli alloggiamenti fortificati per i cannoni tedeschi da 155mm erano vuoti. Non c'era nessuna artiglieria da mettere fuori uso.

Per seguire tutte queste vicende e inserirle in un contesto più ampio viene utilissimo il saggio appena pubblicato dalla Leg proprio per l'ottantesimo dello sbarco: Vittoria in Normandia (pagg. 720 euro 22) di Russell A. Hart. Il volume fornisce al lettore tutti i fili strategici del prima. Si sofferma su come gli Alleati impararono, direttamente sul campo di battaglia, a sconfiggere la macchina da guerra nazista. A partire da una dettagliata disamina del periodo tra le due guerre, in cui l'incuria militare rese gli eserciti alleati incapaci di sconfiggere l'aggressione hitleriana all'inizio della Seconda guerra mondiale, Russell A. Hart analizza i metodi approntati e poi utilizzati da inglesi, canadesi e statunitensi per migliorare la propria efficacia militare e comprendere anche il continuo adattamento tedesco, capace di protrarre gli scontri e aumentare il prezzo della vittoria alleata. Al centro del suo studio comparativo, che si conclude soffermandosi su uno dei momenti più cruciali del conflitto, ovvero lo sbarco in Normandia del 1944, c'è la complessa interazione tra personalità, cultura militare e realtà belliche che determinava la precisione con cui i combattenti imparavano le lezioni della guerra e con quanta efficacia miglioravano le loro capacità di battaglia.

La vittoria in Normandia nasce da una profonda superiorità materiale e tecnologica, che però a lungo fu vanificata dall'incapacità di adeguarsi alle tecniche di combattimento tedesco. Invece la flessibilità istituzionale delle forze armate statunitensi costituì un ingrediente essenziale per la vittoria alleata in Normandia. All'inizio del conflitto, infatti, le armate anglo-americane erano ben lungi dall'essere strumenti adeguati per vincere la guerra. In questa campagna, invece, l'esercito degli Usa padroneggiò e perfezionò in maniera sempre più incisiva sia il combattimento ad armi combinate, sia le operazioni aria-terra. Il libro è illuminante anche sulla resistenza tedesca.

In realtà, in Normandia combatterono due eserciti tedeschi: uno costituito da un nucleo di veterani nazificati del Fronte orientale, completato da giovani volontari e reclute altrettanto indottrinati, e l'altro composto da un esercito di occupazione più anziano, escluso dall'indottrinamento sperimentato a Est e ammorbidito da quattro anni di comodo servizio di guarnigione e di notevole trascuratezza.

Poi l'alba del 6 giugno arrivò per tutti e il mondo cambiò.

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