Venezia in ginocchio. Venezia vuota, come mai la si era vista prima. È un silenzio assordante quello di Venezia ora; le calli sono vuote, i ristoranti sono chiusi, i negozi anche. Non c'è più il rumore dei trolley che galoppano dalla stazione, non c’è più il vociare dei gondolieri, o tutti quei turisti affollati davanti i negozietti dei souvenirs per portare a casa un ricordino. Un ricordino che lasciasse il segno, che portasse un pezzetto di questa città nelle case degli italiani.
Già il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, aveva parlato di danni incalcolabili, “siamo in ginocchio”, aveva detto. Lo ha detto ora e lo aveva detto anche a novembre scorso, quando l’acqua alta fece sprofondare Venezia nel baratro, spazzò via i turisti, i negozi, i commercianti, rivoltò i vaporetti, scene mai viste da un film ad alta tensione.
E ora, ancora. Chi lo sa, forse Venezia, come ci ha detto un imprenditore, si è salvata: se non si fosse svuotata di turisti a novembre, a quest’ora sarebbe la città più contagiata d’Italia. Con almeno 23 milioni di visitatori l'anno – c'è chi registra 30 milioni di ingressi – Venezia è capitale mondiale del turismo di massa, battendo Barcellona, Amsterdam e Bangkok. E ora? Ora i danni sono devastanti, le perdite sono enormi. Venezia poi è una città particolare e in alcuni luoghi è difficile attuare il distanziamento sociale. Ci sono calli strette, ristoranti, chicche per palati prelibati che sono sempre riusciti a vivere in cinquanta metri quadri. E sono le locande più belle, quelle con i prodotti tipici, quelle che quando ti alzi non vedi l’ora di ritornarci. Sono ristoranti dove dentro si stava tutti insieme, e dove è difficile ora distanziare i tavoli. Ce ne sono alcuni che se i tavoli li distanzi rischiano di avere quattro persone per ogni turno.
La situazione è pesante – aveva detto Brugnaro ai microfoni di Domenica In - Venezia è in ginocchio e sono veramente preoccupato di quello che vedremo al rientro. Venezia vive di turismo e ci vorranno 8/10 mesi per riprenderci. Le perdite sono enormi, e il fatturato di alcune attività è andato giù del 98%. A risentirne sono gli alberghi e gli hotel. Per loro poi zero aiuti dal Governo.
Venezia vive la situazione peggiore – aveva detto il direttore dell’Associazione veneziana albergatori Claudio Scarpa. Sono 10 mila i lavoratori in cassa integrazione o licenziati e centinaia e centinaia di proprietari che dovranno reinventarsi da zero. Molti hotel hanno disdette da qui a dicembre. Impossibile andare avanti.
Come Riccardo Masiol, imprenditore nel settore turistico a Venezia, che ha messo in cassa integrazione i dipendenti. Dopo l’acqua alta, era riuscito un po’ a riprendersi, un po’ sotto Natale, ma dal Carnevale la botta finale. “Siamo in ginocchio – racconta Masiol al Giornale.it - ci eravamo ripresi con il Carnevale, dopo la batosta dell’acqua alta, ma io da ottobre ho zero prenotazioni e cancellazioni da qua a dicembre. Queste dovute al coronavirus, dovute al fatto che ci vedono come untori. Per noi mettere in cassa integrazione un dipendente è l’ultima cosa che vorremmo fare. E siamo preoccupati perché nessuno ci sta dando una mano”. La mano infatti la stanno dando loro che nonostante la tragedia, alcuni albergatori si sono uniti donando 30mila euro alla terapia intensiva dell’ospedale civile di Venezia.
Non se la passano meglio in altre zone. Cristian Minchio è il titolare dell'albergo "Villa Goetzen" lungo la Riviera del Brenta, la "nuova porta della Riviera". Un hotel e ristorante, ricavato da un'antica dimora di campagna a Dolo. Qui l'8 luglio 2015 c'è stato anche il Tornado che aveva devastato tre comuni nel Veneto. In piedi da 55 anni, è stato il padre Paolo Minchio a far nascere questa struttura, Villa Goetzen, Do Mori. Il padre faceva il ristoratore a Venezia.
"Siamo una famiglia di albergatori e ristoratori - spiega Minchio al Giornale.it - e ora assisto alla morte fisica e commerciale degli imprenditori. Io ci tengo al mio Paese, ho sempre difeso il mio lavoro, cosa dovrei fare adesso? Al sabato avevo i locali pieni, dovevo anche mandar via persone. Ora per sopravvivere dovrei fare una società nuova per fare imprese di pulizie magari?"
Minchio dà da mangiare a otto persone, ora in cassa integrazione, e da due mesi non fattura un euro. "Sono stanco mentalmente - dice - da due mesi ho zero corrispettivi. Sono stanco di non aver rapporti con le persone, stanco perché avevo sognato un futuro diverso. Io la vedo veramente dura. Cerco di difendere il lavoro da venticinque anni ma le nuove norme sono inattuabili. Se ho un ristorante da quaranta posti dovrò limitarmi a dieci. E i soldi che mi ha dato l'Inps sono quelli che abbiamo già dato noi perché poi per me le tasse ci saranno comunque da pagare. I 600 euro che l'Inps mi ha dato è l'1,8% di un corrispettivo normale della mia azienda. Sono consapevole che devo riaprire, che devo reinvestire, che devo mettere dei soldi miei, risparmiati con le fatiche di una vita, con i sacrifici, per mettere in sicurezza tutto, per ristrutturare alcune parti, per comprare i prodotti che servono, la Regione ha dato un protocollo da seguire, ma da qui a giugno l'albergo è vuoto. Sto sperando di riaprire con il commercio, con le aziende che ci sono qua attorno". Un albergo, il suo, che fatturava anche con gli uomini d'affari, con il giro di scambi che era la bellezza di questo Paese. Una zona, la Riviera del Brenta, famosa per il settore calzaturiero. "Ora - continua Minchi - con due terzi di clienti in meno io secondo voi posso tenere gli stessi prezzi? Avrà tutto un costo, un costo più alto".
Ancora l’11 marzo scorso, e da allora è passato oltre un mese, era stato Marco Michielli, il presidente regionale di Federalberghi Veneto a fare luce su alcuni dati. Cortina contava chiusure per il 95%. Belluno al 90%. Bibione chiusure al 100%. Jesolo al 98%.
Padova al 75%. Sottomarina al 100%. Venezia idem. Treviso al 70%. Abano su 98 strutture, 3 erano rimaste aperte. Verona chiusure a oltre il 60 – 70 %. Vicenza al 75%. E Garda chiusure quasi al 100%.E' un disastro. Sì è un disastro.
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