«In principio era il cortile: la catasta dei povercrist sopravvissuta alle guerre, alle carestie, alle immigrazioni, alle industrie». Tre quarti di secolo vissuti intensamente, su e giù per i teatri di mezza Penisola, con un centro di gravità a cui sempre si torna, come ogni buona pianta si aggrappa testardamente alle sue radici: Legnano e quelle corti lombarde su cui si affacciavano microcosmi di affetti e rancori, gioie (poche) e miserie, nobiltà e (effimere) ricchezze. Ma soprattutto sogni, che quelli son gratis. «Sem nasù par patì» è l'ineluttabile filosofia dei Legnanesi, compagnia della Città del Carroccio che festeggia 75 anni portando in scena «Ricordati il bonsai», improbabile fuoriporta in Giappone - e ritorno - della famiglia Colombo che fa ridere e riflettere (al Repower di Assago fino al 16 febbraio).
A ripercorrere la storia di una delle principali compagini dialettali europee è il direttore della produzione Enrico «Chicco» Barlocco, nipote del leggendario Tony che insieme a Felice Musazzi fondò la compagnia nel Dopoguerra, quasi per scherzo: nel 1949 i due, metalmeccanici alla Tosi, andarono dal prete di Legnarello, contrada che custodisce l'anima della Legnano «di ringhiera», per proporsi al circolo parrocchiale. «Nella diocesi - spiega Barlocco - per disposizione del cardinale Schuster non erano ammesse attrici, e i due seguirono il consiglio del parroco: Niente gonnelle, fatele voi le donne!. Fu la loro fortuna». L'8 dicembre «E un dì nacque Legnarello» pose la prima pietra di un successo travolgente e inaspettato. C'era già l'inossidabile trio: Teresa, Giuàn e la figlia Mabilia, diva da cortile con velleità di soubrette. La consacrazione arriva nel 1957 con «Va là batel», che debutta all'Odeon di Milano, dove spopolavano Proclemer e Albertazzi, poi il cabaret dei Gufi, Fo, Gaber e Jannacci. «Era la loro Scala, ma a Milano recitarono ovunque, dallo Smeraldo al Nazionale di Giordano Rota, dal Nuovo al Parenti, e ancora Alcione, Massimo, Manzoni, Lirico, Arcadia, Puccini, Ciak, Litta, Olimpia, Ambrosiano, fino al Piccolo di Strehler, mentre accanto al teatro impegnato sbancavano le riviste di Wanda Osiris e i musical di Garinei e Giovannini». Pensare che all'inizio l'idea era restare «non più di tre serate». Era la Milano del boom, ormai una metropoli, e i Legnanesi le facevano riscoprire le sue radici popolari. La critica iniziò a scriverne, le compagnie blasonate a invidiarli. Dilettanti, frequentarono i big: Fellini, Loy, Zeffirelli, Nureyev, Renata Tebaldi, Liza Minnelli; Bramieri, Tognazzi, Dapporto, Giannini, Walter Chiari, Amanda Lear, Paola Borboni, Carmelo Bene, Mariangela Melato. Superarono per incassi Eduardo De Filippo. Nel 1972 Musazzi ricevette l'Ambrogino d'Oro: sulla pergamena spicca la firma dell'allora assessore alla Cultura Paolo Pillitteri.
«Dei Legnanesi piace la genuinità nel raccontare la vita di tutti i giorni. E l'improvvisazione: non c'è uno spettacolo uguale a un altro». Dalla fabbrica Musazzi prendeva situazioni e personaggi, episodi e battute. Barlocco si occupava delle coreografie: la parodia della rivista con la Mabilia e i suoi «boys» (ballerini che ne accompagnano le performance), sognando la ribalta. «Col tempo le cose sono cambiate: telefonini, inglesismi, social. Ma in fondo ci sono sempre i grandi temi: l'identità, il rapporto con gli altri, la famiglia». Dopo la scomparsa di Barlocco e Musazzi il gruppo ha continuato anche grazie al talento di Antonio Provasio, l'attuale Teresa.
«Riempiamo ancora i teatri: 150 date a stagione, 50mila spettatori con tanti giovani. Migliaia di km macinati per giorni interi». Il difficile è uscire dal personaggio: «Legnanesi lo si è sempre, anche nel quotidiano. Diceva Musazzi: Il cortile è il palcoscenico e gli attori siamo tutti noi».
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