Luca Rocca
È una storia di corvi e pentiti, calunniatori e calunniati, di inquietante malagiustizia e di garantismo sepolto quella raccontata da Mauro Mellini nel suo ultimo libro (edito da Koinè) e intitolato appunto «Tra corvi e pentiti. Un caso qualsiasi anzi... speciale». Una storia di provincia ma assolutamente emblematica del clima che si è respirato negli anni Novanta nel nostro Paese e delluso magistralmente distorto che a lungo si è fatto dei falsi pentiti. Mellini, avvocato, ex deputato dei Radicali, componente del Csm dal 1993 al 1994, narra la vicenda di Francesco Giangualano, «semplice» consigliere e assessore nel comune di Trani nelle fila della Democrazia Cristiana. Una vita non facile, quella di Giangualano. Diventato cieco alletà di 21 anni, mai avrebbe potuto immaginare che la sua vita sarebbe presto andata incontro a guai persino peggiori. Tutto ha inizio con la sua nomina alla carica di presidente dellAmet, lazienda municipale dellelettricità e dei trasporti di Trani. Un ente quasi sempre utilizzato per «fare clientela» e che Giangualano rende invece un fiore allocchiello della città. Ed è forse questo il suo «peccato originale», perché è da quel momento che si alza il venticello della calunnia attraverso lettere anonime, delazioni e denunzie apocrife con le quali si mettono in dubbio i sistemi utilizzati da Giangualano nella direzione dellAmet. Lettere anonime che vengono inspiegabilmente tenute in seria considerazione dai magistrati di turno e che, passate al vaglio degli inquirenti, hanno portato a un ovvio nulla di fatto, senza però risparmiare allaccusato la solita gogna mediatica. Tra unindagine e laltra gli inquirenti arrivano persino a chiedersi come possa un cieco avere conseguito una laurea e addirittura a mettere in dubbio la reale cecità di Giangualano. E come al solito tutto si chiarisce solo dopo che il danno è stato fatto. Ma nel bel racconto di Mellini questa è solo la prima parte della storia. Siamo negli anni Novanta, su stampa e televisione non si parla daltro che di Tangentopoli e del processo per mafia a Giulio Andreotti. E mentre il senatore a vita si difende dalle accuse di decine di pentiti poi sbugiardati dalle sentenze, anche Giangualano entra nel vortice del «gioco del pentito». Un certo Salvatore Annacondia, collaboratore di giustizia, lo accusa infatti di aver ricevuto lincarico proprio da Giangualano e da altre tre persone (che poi diventano quattro) di ammazzare Leonardo Rinella, procuratore della Repubblica presso lallora Pretura di Trani dal 1989 al 94, da sempre scettico sul ruolo dei pentiti ma pronto a prenderli seriamente in considerazione quando si tratta di accuse che riguardano un «magistrato scomodo», come lui stesso si definisce. Annacondia non è un pentito qualunque. È noto alle cronache anche per essere stato ascoltato dalla fallimentare Commissione parlamentare Antimafia presieduta dal diessino Luciano Violante. Le sue versioni dei fatti, e non è una novità nel mondo dei pentiti, cambiano così tante volte e si contraddicono in così tanti punti che diventa difficile, se non impossibile, capire come possano dei bravi magistrati chiedere il rinvio a giudizio di un uomo sulla base di palesi menzogne raccontate da un pluriomicida reo confesso. Menzogne che però hanno avuto delle conseguenze gravi, perché le accuse di Annacondia hanno finito per tirare in ballo anche lallora sindaco di Trani provocando lo scioglimento del Consiglio comunale.
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