«Così ho sgozzato Youssef»

Le frasi che hanno choccato anche il gip: «L’ho preso per i capelli e l’ho colpito»

nostro inviato a Como
«L’ho sollevato per i capelli e l’ho sgozzato. Gli ho piantato il coltello in gola, colpendolo dal basso verso l’alto. Poi ho girato la lama».
Perché l’ha fatto? Chiedono i magistrati a Rosa Bazzi «Quel bambino, Youssef, mi aveva sempre dato fastidio. E anche quella sera piangeva, non la smetteva di piangere. E io non ne potevo più. E poi avevo mal di testa, sì mal di testa. Così l’ho colpito».
E la tarda serata di mercoledì 10 gennaio, nella saletta dei colloqui del carcere Bassone di Como, la verità è finalmente chiara. I vicini di casa di Raffaella Castagna, messi in stato di fermo per le prove raccolte a loro carico crollano e confessano di essere gli autori dell’orribile strage dell’11 dicembre. Il tecnico che sta registrando le dichiarazioni, ha un sussulto, un moto di disgusto. I quattro pm, Mariano Fadda, Antonio Nalesso, Simone Pizzetti e Massimo Astori sono stravolti dalla tensione e da ciò che hanno appena ascoltato. Una ricostruzione minuziosa quanto agghiacciante che somiglia più a un film dell’orrore e invece è un verbale d’interrogatorio. Stesse sensazioni che ha provato l’altro giorno il giudice per le indagini preliminari, Nicoletta Cremona riascoltando per la convalida del fermo entrambi i coniugi. Anche se è ancora e soprattutto Rosa Bazzi che stupisce per la freddezza. Rosa che, davanti a una donna come lei, della sua stessa età, arriva addirittura a mimare la scena dell’uccisione di Youssef: «Ecco l’ho colpito così», dice roteando le mani nell’aria». E poi, nella logica della nuova linea che ha deciso di adottare aggiunge: «Olindo mi diceva: Ma cosa fai? Lascia stare il bambino, vieni via. Ma io non mi sono fermata non potevo più fermarmi. Ecco, ho fatto così e poi così...», ripete alzando ancora il pugno come se stringesse ancora quel coltello.
Sfogliare questi inediti libri dell’orrore che sono i verbali degli interrogatori sulla strage della casina gialla, significa correre il rischio di sentirsi male. Come male sono stati, per loro stessa pubblica ammissione, i pm del pool nominato dal procuratore capo Lodolini, per far luce in tempi rapidi su una vicenda che, parole sue, «ci ha choccato tutti, noi magistrati per primi».
Il movente avrete pur avuto un movente? Chiedono sempre mercoledì 10 gennaio, i giudici interrogando separatamente i coniugi. «Dovevamo dare una lezione a Raffaella perché la situazione era diventata insopportabile. Ci avevano reso la vita impossibile», risponde Olindo Romano. «Li abbiamo uccisi perché volevamo dar loro una lezione, non ce la facevamo più ad andare avanti così», dice Rosa. «L’Olindo aveva pur diritto di dormire. Non poteva andare sempre nel camper per cercare di riposare. Quelli là a volte facevano casino fino alle cinque di mattina, l’Olindo invece alle cinque di mattina si deve alzare per andare a lavorare...».
E poi? «Ci siamo cambiati gli abiti sul tappeto, in casa». E le armi, che fine hanno fatto? Risponde Olindo Romano: «Abbiamo buttato via le armi e gli abiti mente andavamo al McDonanld’s di Como. Ci siamo fermati, ho buttato tutto in un cassonetto che, il giorno dopo, ero sicuro, sarebbe finito nell’inceneritore...».
A Rosa, la perfida strega non servivano tante parole per dominare Olindo, l’orco bonaccione. Bastava uno sguardo, bastavano e basterebbero ancora, se in carcere li facessero incontrare come loro chiedono.

Con quegli occhi magnetici che, da 23 anni, da quando i due si erano sposati nella Chiesa di San Maurizio, lo facevano rigare dritto. Sempre. Fino a quell’agghiacciante sentenza di morte emessa da Rosa: «Olindo dobbiamo farci rispettarci da quelli».

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