C’è una «gola profonda», un ex dipendente dei patronati determinato a squarciare il velo di omertà che avvolge gli enti sindacali che forniscono assistenza ai lavoratori in Italia e all’estero. E che ogni anno portano a casa circa 400 milioni (361 e rotti solo nel 2005, ma la cifra è destinata a crescere ogni anno) grazie alla trasmissione telematica di pensioni di vecchiaia, invalidità e anzianità, infortuni sul lavoro, malattie professionali, invalidità civile e assegni familiari. Una vera e propria macchina da guerra, il braccio operativo dei sindacati che si snoda in tutta Italia e nel mondo grazie ai suoi 10mila sportelli e 8mila addetti sparsi in tutto il mondo.
I soldi ai patronati arrivano direttamente da un fondo, gestito dal ministero del Lavoro e finanziato ogni anno dallo 0,226% dei contributi obbligatori incassati da Inps, Inpdap, Ipsema e Inail. La parte del leone la fanno i patronati delle tre organizzazioni confederali: nel 2005 l’Inca Cgil, l’Inas Cisl e l’Ital Uil hanno incassato oltre 172 milioni. Circa il 46% dell’intero fondo. Secondo i dati del ministero del Lavoro su 361 milioni di euro girati ai patronati dal fondo, 81.950.933 euro finiscono alla Cgil, 61.736.080 euro alla Cisl e 28.390.428 alla Uil.
Il ministro del Welfare Maurizio Sacconi ha sottolineato «i problemi legati al finanziamento dei patronati». Rispondendo a una question time lo scorso 22 aprile, Sacconi ha detto che «il sistema attuale legato al coefficiente sul monte retributivo è «uno dei problemi da risolvere», così come il sistema delle convenzioni tra patronati ed enti previdenziali».
Ma c’è dell’altro. «Dietro a questo vorticoso giro di denaro pubblico si nascondono alchimie contabili e azioni al limite della legalità, che nelle ispezioni ministeriali non sono mai emerse», dice al Giornale un ex impiegato del patronato ormai in pensione, che ha deciso di rivelare tutti i trucchi della potente macchina sindacale. Come funziona il meccanismo del finanziamento? Attraverso un complicato meccanismo a punti, che il Giornale è in grado di spiegare. Un punto nel 2005 equivale a 53,46 euro per le attività svolte in Italia e 75,56 euro all’estero. Ogni pratica ha un punteggio, e dunque una «redditività» maggiore o minore di altre pratiche. Per esempio, secondo la tabella Inps degli interventi finanziati aggiornata a tutto il 2008 del ministero del Lavoro, l’assegno di invalidità vale 6 punti, come la pensione di inabilità. Pensione di anzianità, vecchiaia e superstiti vale 4 punti, il doppio della pensione sociale. Secondo la tabella Inail, invece l’indennizzo per malattia professionale o infortunio (non già denunciato) vale 6 punti, così come la costituzione e la revisione della rendita, attiva o passiva. La «richiesta di rendita a superstiti non titolari» vale 4 punti, mentre le pensioni privilegiate, dirette e indirette, così come quelle di guerra e quelle degli invalidi civili, ciechi e sordomuti. Sei punti significano 320,76 euro a pratica se richiesta ai patronati in Italia, e 453,36 euro se richiesta presso un patronato all’estero. Un compenso per un lavoro che in pratica consiste nell’istruire una pratica o digitare il nome del pensionato in un database Inps. Molte altre pratiche, va detto, portano zero punti. Cioè è come se fossero interamente «a carico» dei patronati. Si tratta ad esempio di ricongiungimenti previdenziali o ricostruzioni pensionistiche ma anche pratiche ormai in disuso come le cure termali.
Poi ci sono altre operazioni, come la cosiddetta dichiarazione reddituale (Red) per i pensionati. E qui il discorso è diverso. «In questi casi i patronati - sottolinea l’ex impiegato - a cui i pensionati si rivolgono più spesso che ai Caf - “girano” la dichiarazione proprio ai Centri per l’assistenza fiscale». Che per questa pratica incassano circa 15 euro. «Il patronato è una cinghia di trasmissione per il sindacato e per i Caf: ha sempre - e tutt’oggi lo fa nel corso dell’istruttoria delle pratiche istituzionali - acquisito i dati reddituali dei pensionandi e dei pensionati attraverso i modelli Red. Ma stranamente l’Inps ha deciso di fare le convenzioni con i Caf e dare loro 15 euro per ogni anno che un pensionato deve dichiarare. Ed oggi che fa il patronato? Acquisisce sempre i Red e li passa al Caf, che a sua volta li trasmette per via telematica. E incassa».
Il ministro Sacconi ha ricordato che «il nuovo regolamento in vigore dallo scorso gennaio è più rigoroso, restrittivo e utile a vigilare sulla loro operatività». Molte pratiche varranno meno, altre di più. Pensioni di vecchiaia, anzianità e superstiti varranno 5 punti, mentre saliranno a sei punti il riconoscimento della malattia professionale e del danno biologico.
Ma i patronati prendono soldi anche in base alle loro sedi in Italia. L’articolo 8 del decreto ministeriale 764/94 prevede di assegnare 10 punti per la sede centrale, a patto che ci lavorino «in via esclusiva, almeno dodici operatori, di cui non meno di sei a tempo pieno». Due punti vanno a ogni sede regionale, a patto che ci lavorino «in via esclusiva almeno due operatori, di cui uno, a tempo pieno, sia responsabile della sede stessa». Le sedi provinciali valgono 2 punti ciascuno, a patto che abbiano le stesse caratteristiche delle sedi regionali e che producano almeno 400 «punti attività», cioè porti a conclusione 400 pratiche da un punto, oppure 200 da due e così via. Un punto va invece a ogni sede zonale, in cui operi almeno un operatore (anche part time) che lavori 20 ore a settimana e che garantisca un’apertura per almeno 3 ore al giorno per 3 giorni a settimana. E che produca almeno 200 «punti attività».
Un tetto che oggi è più facile da raggiungere anche grazie ai lavoratori stranieri, visto che da qualche anno al braccio operativo dei sindacati è stata affidata anche la gestione dei permessi di soggiorno.
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