Così i talebani preparano il loro ingresso a Kabul

La pandemia li mostra protagonisti nell'assistenza. E col ritiro Usa avranno campo aperto per il potere

Così i talebani preparano il loro ingresso a Kabul

Il video sorprendente dei talebani non mostra i soliti barbuti che attaccano postazioni governative o fanno saltare in aria i blindati dell'esercito afghano. Questa volta i militanti islamici indossano le tute anti contagio, mascherine di protezione, guanti e misurano la temperatura alla popolazione con i termometri a infrarossi. I talebani hanno preso sul serio, anche per motivi politici e propagandistici, la minaccia della pandemia in Afghanistan, dove i contagiati ufficiali sono 3mila e i morti un centinaio. In realtà il Pentagono è convinto che i numeri reali siano dieci volte superiori. Un terzo della popolazione di 37 milioni di afghani sarebbe infetta e si stima che il virus potrebbe provocare 110mila vittime. In un paese con scarse strutture sanitarie, i talebani vogliono dimostrare di fare meglio del governo, che per ora è riuscito a eseguire solo 13770 tamponi. Le squadre anti virus dei fondamentalisti girano nei villaggi istruendo la popolazione su come evitare il contagio lavandosi le mani e distribuendo mascherine. Non solo: impongono la quarantena ai contagiati e sostengono di avere a disposizione gli agognati tamponi forse arrivati dal Pakistan. «Siamo disposti a consentire il passaggio e sostenere gli operatori sanitari del governo o le Ong che possono aiutare gli abitanti dei villaggi nelle nostre aree. Tutto quello che devono fare è chiederci il permesso prima di venire», ha dichiarato Qari Khalid Hijra, responsabile sanitario dei talebani nella provincia di Baghlan.

Il virus è entrato dall'Iran con il ritorno in patria di migliaia i migranti afghani, molti cacciati in malo modo. La confinante provincia di Herat, dove ci sono 700 militari italiani, è la più colpita dalla pandemia. «Anche a Camp Arena, la nostra base, abbiano avuto alcuni casi, ma di personale rientrato dalla licenza che aveva contratto il virus in Italia. Grazie all'ospedale da campo Role 2 dove si eseguono tamponi e test sierologici sono stati subito individuati e rimpatriati», rivela una fonte militare. Il generale Enrico Barduani, che comanda il settore Ovest, ha incontrato ai primi di maggio il nuovo governatore di Herat, Sayed Abdul Wahid Qattali, proprio per affrontare l'emergenza virus. Nella provincia le autorità «collaborano» con i talebani per affrontare la pandemia. Gli americani e lo stesso ministro della Salute afghano, Ferozuddin Feroz, pure lui contagiato, appoggiano il fronte comune nella «guerra» al virus.

Quella vera, però, continua più aspra che mai, nonostante l'accordo di pace con gli Usa di fine febbraio. Nei 45 giorni dopo la firma i talebani hanno lanciato 4500 attacchi registrando un incremento del 70%. Le forze di sicurezza afghane perdono 300 uomini al mese e in aprile i morti fra i civili sono stati un centinaio. Un rapporto Onu denuncia «il preoccupante aumento della violenza da marzo quando si sperava che il governo afghano e i talebani potessero avviare negoziati di pace diretti». Le trattative non sono mai partite incagliandosi sul rilascio dei prigionieri, il primo punto dell'accordo siglato con gli americani. «Sui 5mila previsti, il governo di Kabul ha rilasciato poco più di 900 talebani, che si avvicinavano a fine pena. I 15 comandanti più importanti richiesti dai talebani rimangono in carcere. Per assurdo sono soprattutto gli americani a fare di tutto per tenere in piedi l'accordo», spiega al Giornale una fonte occidentale a Kabul.

Non a caso gli Usa continuano a ridurre le loro truppe, come da programma, su ordine della Casa Bianca che vuole sganciarsi dall'Afganistan in vista di una non facile rielezione di Donald Trump. In luglio il contingente americano sarà ridotto da 12mila a 8600 uomini e il ritiro completo è previsto per maggio 2021. Assieme agli americani se ne andranno anche gli altri contingenti della Nato, compreso quello italiano. A gestire il delicato ritiro, dopo 18 anni di guerra, è stato nominato rappresentante civile della missione in Afghanistan, Stefano Pontecorvo, ex ambasciatore italiano in Pakistan, che assumerà l'incarico in giugno. Un altro grosso ostacolo è lo stallo politico dopo la discussa vittoria elettorale con poco più di 1 milione di voti, un decimo degli aventi diritto, del capo dello Stato uscente Ashraf Ghani. Il problema è che pure il suo rivale, Abdullah Abdullah, ha dichiarato vittoria. «Siamo l'unico paese al mondo con due presidenti - ironizza una fonte afghana che conosce i giochi di potere a Kabul - Questa settimana dovrebbero annunciare l'accordo finale sulla spartizione del potere così potranno iniziare i colloqui diretti con i talebani». Ghani è il presidente ufficiale, ma il rivale voleva diventare primo ministro anche se la carica non esiste. L'accordo prevede che Abdullah si accontenti di guidare i negoziati con i talebani e di indicare il 50% dei ministri del governo di Ghani. Se la convivenza politica o le trattative di pace fallissero si teme lo scenario peggiore con la spaccatura armata dell'Afghanistan. «A nord il tajiko Abdullah e i leader delle altre minoranze, a Kabul un governo depotenziato e nel sud il potere dei talebani che già controllano almeno il 40% del paese», spiega la fonte occidentale. Per evitare il peggio gli americani hanno minacciato di tagliare i fondi all'Afghanistan di 1 miliardo di dollari quest'anno e pure l'anno prossimo. Il bilancio del paese non può reggere il colpo.

«Conviene a tutti mettersi d'accordo - sottolinea l'ottimistica fonte afghana - I talebani non conquisteranno Kabul armi in

pugno come nel 1996, ma entreranno nella capitale accettando un governo di unità nazionale, che significherà spartizione del potere, integrazione dei loro uomini nelle forze armate e influenza politica su tutto il paese».

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