Così la reggia diventa contemporanea

La Villa Reale di Monza torna a nuova vita grazie alle creazioni di artisti del Novecento

Così la reggia diventa contemporanea

Sarà l'arte contemporanea a restituire nuova linfa alla Reggia di Monza, finora grande occasione mancata del patrimonio storico-artistico italiano? La scommessa non è nuova per la sontuosa residenza reale che fu commissionata nel 1777 da Maria Teresa d'Austria al Piermarini e che, dall'abbandono della famiglia Savoia dopo l'omicidio di Umberto I, ha conosciuto alterne fortune cadendo in una progressiva crisi d'identità. Ben prima del progetto Reggia contemporanea che, sulla scia di quanto già avvenuto al palazzo del Quirinale per volontà della presidenza della Repubblica, ha messo a disposizione degli artisti d'oggi le restaurate sale della Villa, ci furono altri significativi tentativi, sempre naufragati. Il primo tra tutti è legato al design allorché, dal 1923 al 1927, la Villa Reale e il suo parco ospitarono le prime tre edizioni della Biennale di arti decorative prima del trasferimento, nel 1933, nel Palazzo dell'Arte di Milano. Quella breve ma vitale stagione venne rievocata nel 2014, anno in cui una sezione del Design Museum della Triennale fu spostata proprio al Belvedere della Reggia; e poi due anni dopo, durante la XXI Esposizione internazionale della Triennale del Design, che la vide ospitare cinque mesi di eventi.

Poi un nuovo, a questo punto definitivo addio, a cui ha fatto seguito un programma altalenante di mostre mai imperdibili e una nuova chiusura esattamente tre anni fa dopo una battaglia legale tra i concessionari privati e il Consorzio di gestione di Parco e Villa Reale, con a capo l'allora sindaco di Monza Dario Allevi. E siamo finalmente all'oggi, con un progetto di riallestimento che prova a dare nuovo appeal alla residenza neoclassica oggi visitabile in 28 sale restaurate su un totale complessivo di 700 vani articolati sui tre lati che comprendono le ali della Corte d'Onore. Il progetto Reggia contemporanea - ideato dal Segretariato generale della presidenza della Repubblica, curato dall'architetto Renata Cristina Mazzantini e promosso dal sindaco di Monza e presidente del Consorzio Villa Reale Paolo Pilotto - è un percorso che si snoda tra i due piani nobili della Villa, con un centinaio di opere e installazioni ad hoc di artisti e designer del secondo dopoguerra.

Rispetto a progetti similari come l'allestimento della Collezione «Terrae Motus» alla Reggia di Caserta, quello monzese sfrutta a proprio vantaggio quello che ha sempre costituito l'annoso handicap della Villa Reale di Monza: vale a dire la scarsità di arredi, soprattutto quelli originali, di cui fu spogliata già all'indomani dell'uccisione di Umberto I, allorché la regina Margherita di Savoia, già prostrata da una vita di tradimenti subiti, la abbandonò con il resto della famiglia reale per non farvi mai più ritorno. Circa duecento mobili, suppellettili, tappeti, porcellane, stoviglie di grande valore, finanche l'intero patrimonio librario della biblioteca reale finirono a Roma, principalmente al Quirinale e poi nelle varie sedi delle ambasciate italiane. Fu lo stesso Vittorio Emanuele III che pare abbassasse le tendine della carrozza le rare volte che gli capitava di transitare da Monza a decidere in gran fretta il trasferimento del patrimonio al Quirinale nell'estate del 1919, per evitare che finisse nelle mani del demanio, come la Villa stessa. Vani, per inciso, sono stati i tentativi in tutti questi anni (soprattutto da parte della Lega) di riportare a casa parte degli arredi originali, o almeno delle copie. Niente da fare. Fatto sta che l'horror vacui si è qui trasformato nell'opportunità per artisti e designer, ma soprattutto per i curatori di Reggia contemporanea, di riempire gli spazi restaurati o di mettere in campo interessanti dialoghi con ciò che resta o con la sua memoria. Il caso forse più eccentrico e paradossale, e che potrebbe far storcere il naso ai puristi, è l'apparecchiatura della sala da pranzo reale al primo piano nobile firmata da Giorgio Armani. Ebbene sì, funziona. Stesso dicasi, restando al design, per l'illuminazione delle opere con le lampade icona di Davide Groppi, Michele De Lucchi e Piero Fassina, Jacopo Foggini, Franco Raggi, Vico Magistretti e Tommaso Tommasi.

Il percorso alterna opere significative - tra pittura, fotografia e installazioni - di artisti del Novecento a progetti cosiddetti site specific di artisti d'oggi, tutti ceduti alla Reggia con la formula della donazione o del comodato d'uso. Del primo gruppo fanno parte anche opere di Enrico Castellani, Paolo Scheggi, Afro e Mirko Basaldella, Carol Rama, Maria Lai, Emilio Vedova, Mimmo Rotella, Gastone Novelli, Piero Dorazio, questi ultimi presenti con due opere già nelle edizioni del 1968 e del 1988 della Biennale d'Arte di Venezia. Nel secondo gruppo spiccano installazioni che si integrano e dialogano con l'architettura, come Urpflanze di Giovanni Frangi, una serie di pannelli pittorici a tema naturalistico inseriti nella camera da letto di Augusta Vittoria, ambiente in stile neorinascimentale caratterizzato, all'epoca, da un ricco apparato decorativo, oggi andato perduto, dai motivi paesaggistici. L'opera di Frangi sembra dar luogo ad un'osmosi tra le stanze e il parco in cui è immersa la Villa. Si intitola invece La Blancheur l'installazione di Chiara Dynys che occupa gli ambienti dell'anticamera dell'appartamento del Principe di Napoli Vittorio Emanuele III. L'opera, una cabina ricoperta di superfici specchianti, è un environment in cui lo spettatore si immerge riflettendosi nell'immagine delle sculture di Antonio Canova.

Un'altra opera ad hoc è quella che Massimo Listri ha intitolato La Reggia allo specchio, una serie di gigantografie della Villa stessa con cui l'artista riempie il vuoto delle grandi specchiature libere della Sala degli Arazzi.

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