Così rivive Sergio Leone l'uomo che inventò l'America

Arriva su Sky e su Now il documentario premiato con il Nastro d'Argento. Un ritratto avvincente...

Così rivive Sergio Leone l'uomo che inventò l'America

Los Angeles. Sergio Leone, l'italiano che inventò l'America, che il 4 febbraio arriverà su Sky Documentary e su Now, è il documentario dell'anno secondo il Direttivo dei Giornalisti Cinematografici Italiani che subito dopo il Festival di Berlino consegnerà il Nastro d'Argento al regista, Francesco Zippel, in una cerimonia che si terrà a Roma.

Presentato in concorso nella sezione Venezia Classici lo scorso settembre, alla Mostra del cinema, il documentario è stato prodotto da Sky Italia con Leone Film Group (i figli del maestro). Rappresenta una lettera d'amore al regista romano e al suo cinema, da parte del mondo della settima arte, in Italia come in America.

Inizia Quentin Tarantino: «Da lui e dai suoi film ho preso tutto il possibile, lui ha inventato un genere ed io l'ho fatto mio».

Tarantino, Clint Eastwood, Steven Spielberg, Martin Scorsese, Frank Miller, Robert De Niro, Giuseppe Tornatore, Carlo Verdone, Dario Argento, Ennio Morricone in immagini d'archivio, Jennifer Connelly, i figli Raffaella, Francesca e Andrea, sono tante le voci che si alternano nel racconto. Ne emerge un ritratto preciso, divertente, pieno di aneddoti, a tratti nostalgico, che parte dai primi spaghetti western e dal sodalizio fra il regista e Clint Eastwood. «Un giorno il mio agente mi contattò racconta Eastwood mi disse che avrei dovuto prendere in considerazione l'idea di fare un film in Italia. Avevo qualche giorno di vacanza, non volevo andare ma mi fece promettere che avrei letto il copione. Lo feci e scoprii che era un adattamento de La sfida dei Samurai, di Akira Kurosawa. Amavo quel film e mi convinsi». «In realtà ed è la stessa voce di Sergio Leone a spiegare in un'intervista d'archivio - Kurosawa aveva estrapolato quella sceneggiatura da un romanzo americano».

Leone in pratica riportava in patria quella storia. «Andai in Italia continua Eastwood e incontrai quest'uomo affascinante, andammo subito d'accordo anche se io non parlavo italiano e lui non parlava inglese, comunicavamo a gesti. Da quel momento la mia carriera fu nelle sue mani».

Non manca naturalmente il racconto del sodalizio artistico con Ennio Morricone. «Leone era gli occhi, Morricone le orecchie», dice Steven Spielberg. Il figlio Andrea racconta di aver provato a proporre i musicisti del momento. «Sì, possiamo fargli fare una canzone, ma la musica è di Ennio», rispondeva il padre.

Giuliano Montaldo racconta un episodio avvenuto alla Jolly Film: «Sentii dei rumori e delle voci nella stanza accanto: ecco che arrivano! Pum pum!, era Sergio Leone che raccontava ai produttori il suo film, con parole e effetti sonori». Steven Spielberg spiega il tratto fanciullesco che Leone non perse mai: «Era un ragazzino che gioca ai cowboy, un artista poco pretenzioso e molto generoso». Frank Miller: «I suoi personaggi sembravano usciti da un cartone animato».

Non fu un regista prolifico. Il suo primo film fu Il colosso di Rodi, poi arrivarono Per un pugno di dollari, Per qualche dollaro in più, Il buono, il brutto, il cattivo, C'era una volta il West, Giù la testa e l'ultimo, C'era una volta in America, arrivato dopo un lungo periodo di inattività, ben undici anni. «Disse di no a tantissimi film perché aveva un chiodo fisso, disse no alla regia del Padrino perché voleva solo fare il suo film», dice il produttore Arnon Milchan. «C'era una volta in America è il suo capolavoro» è convinto Steven Spielberg. Volle Robert De Niro come protagonista e Milchan racconta di una lite fra il regista e l'attore per la scelta di un collega nel cast che non andava a genio a De Niro. Leone lo mise subito al suo posto: «Questo non è un film con Robert De Niro diretto da Sergio Leone, questo è un film di Sergio Leone con Robert De Niro», gli disse. Non si lasciava intimidire da nessuno e non reprimeva la rabbia, come quella volta in cui durante le riprese di Giù la Testa, un ponte che avrebbe dovuto esplodere saltò prima che le cineprese fossero pronte. Clint Eastwood racconta la sua furia: «Si placò solo quando gli promisero di ricostruirlo per poterlo fare saltare di nuovo».

Non rabbia ma amara delusione arrivò quando, dopo il successo al Festival di Cannes, C'era una volta in America venne tagliato: La prima versione durava quattro ore e mezzo dice Milchan riuscimmo a ridurlo a tre ore e 45 minuti e quella fu la versione che venne mostrata a Cannes.

«Non ha mai cercato l'applauso dice la figlia Raffaella fu sorpreso quando ci furono quei venti minuti di ovazione.

Nonostante questo, come spesso accadeva nei suoi film, non finì tanto bene». Tornato in America, fu rimontato senza la sua supervisione e ridotto a due ore e 45 minuti. «Non è più il mio film», disse allora Leone, che rifiutò per tutta la vita di vedere quella nuova versione.

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