Così rivivono gli animali scritti da Rigoni Stern

Dipinti, sculture e fotografie interpretano la fauna letteraria dell'autore a cent'anni dalla sua nascita

Non avrei mai immaginato, arrivando in Trentino e vedendo le meraviglie del Muse e le stanze novecentesche del Mart, di dover parlare di uno scrittore, Mario Rigoni Stern, che ho letto da ragazzo, su suggerimento di mio padre, suo coetaneo (1921), e che aveva letto come un soldato, un commilitone, Il sergente nella neve, con il racconto della ritirata degli alpini nelle gelide steppe russe. Una storia di emozionante verità umana. Quella di Rigoni Stern è una grande prova letteraria, ma Trento lo celebra in modo insolito e curioso, senza dottrina e lingue universali.

Il grande scrittore amava gli animali e soprattutto l'idea degli animali nelle stagioni, anche con la neve, come toccò a lui, sergente. Per Rigoni Stern, come per mio padre, era difficile concepire la vita senza l'amicizia di un cane: «senza di lui mi sentirei disarmato e anche solo». Il cane più amato fu Cimbro, con il quale è ritratto in alcune fotografie in montagna. Anche la caccia, dopo l'avventura in Russia, era per lui l'occasione di vivere nella natura.

Io l'ho conosciuto a Venezia, al premio Campiello, spaesato, Rigoni Stern. E lo ritrovo perfettamente, in questa bella mostra, fra gli animali, anche dipinti, scolpiti, fotografati, abitanti della natura in modo più coinvolto rispetto all'uomo, che ha creato le città in alternativa alla natura. Rigoni Stern li amava tutti. L'idea di rendergli omaggio attraverso le varietà di animali incontrate nei suoi boschi è poetica e rispettosa. Nel testo, per ogni animale ci sono le parole e le emozioni di Rigoni Stern che accompagnano le immagini. Chi ha concepito questa mostra ha dimostrato di conoscere lo spirito e la parte più intima dell'uomo, prima dello scrittore.

Nel racconto Capriolo alla guerra, la paura del giovane partigiano in fuga tra le montagne dell'altipiano si sovrappone a quella di un piccolo capriolo ferito di striscio da un proiettile. «Stavano lì a riprendere il fiato e a calmare i battiti del cuore quando un rumore di frasche e uno stranissimo e leggero passo gli fece spianare le armi e mettere l'indice sul grilletto. Era solamente un piccolo capriolo, di quelli nati in primavera, ed era solo, ossia senza la madre». L'animale si accosta con fiducia, come a cercare protezione e così il giovane molla la presa dal mitra e lo accarezza, ritrovando fiducia nella vita. Il partigiano è nascosto tra le frasche del sottobosco, per sfuggire al rastrellamento dei tedeschi, e pare inverosimile quell'incontro tra ragazzo e animale, entrambi impauriti. Invece inverosimile è la guerra, ci fa capire Rigoni Stern, non quel breve momento di imprevista dolcezza.

La mostra accompagna immagini di artisti e parole di Rigoni Stern, con infinita grazia. Tra gli animali «selvatici e salvifici» non può mancare l'urogallo o gallo cedrone, il re del bosco, la preda più ambita dai cacciatori, cui Rigoni Stern dedica il titolo del suo secondo libro, Il bosco degli urogalli: «Sono stato il primo a usare il nome urogallo in letteratura. È un animale arcaico, mitico, che viene dai ghiacciai del Nord. Un animale-relitto, uno di quelli rimasti sull'Altipiano dopo l'ultima glaciazione. È ipersensibile e ombroso, il cedrone o urogallo ama la foresta». Dopo i lunghi mesi di prigionia nei lager tedeschi, mortificato nel corpo e nell'anima, andare a caccia di forcelli e di galli cedroni era stato un ritorno alla vita, una ritrovato rapporto con la natura. Rigoni Stern, appassionato conoscitore della natura, era anch'egli un cacciatore, ma con un preciso codice, che volle ricordare nei suoi libri. Innanzitutto, diceva, occorre conoscere, presupposto indispensabile per qualunque attività abbia a che fare con flora e fauna. Bisogna poi avere il senso del limite, essere consapevoli della fragilità e finitezza dei boschi, dell'acqua, dell'aria, degli animali liberi e selvatici. Ripeteva spesso che nel rapporto con la natura occorre salvaguardare il capitale e appropriarsi solo di una parte degli interessi, cogliere il frutto, cioè, senza tagliare l'albero.

Nel racconto Temporale di primavera emerge il legame tra conoscenza ed esperienza e tutela degli animali. Quattro boscaioli si rifugiano sotto un abete per ripararsi da un temporale e lì trovano un cucciolo di capriolo nato da poco, abbandonato. Uno dei boscaioli vorrebbe metterlo al riparo, ma un altro lo blocca: «Non toccarlo! Se poi sente il tuo odore la madre lo abbandona. Non lo riconosce più!». E così gli creano intorno un abito di scorze e rami per ripararlo dall'acqua e dalla grandine. Lo lasciano lì e tornano alle loro case, in paese, sperando che la madre del piccolo capriolo lo venga a riprendere. Il mattino dopo, tornati con il guardiacaccia, i boscaioli trovano il riparo vuoto e sentono un calpestio a monte, sulla costa del bosco, poi un belare. «Sono loro: la madre e venuta a riprenderlo. Ce l'hanno fatta». Senza conoscenza del mondo animale la generosità non sarebbe bastata a salvare il cucciolo. «La conoscenza è sempre salvifica, ci preserva da errori e scelte fatali, e ci salva dall'irrazionalità e dal degrado civile», osserva il curatore della mostra, Giuseppe Mendicino.

Tra gli artisti esposti in omaggio allo scrittore, scelti da Fiorenzo Degasperi e chiamati a interpretarne le poetiche descrizioni, oltre all'immancabile e fantasioso Depero, evocativo è Marco Arman; illustrativo Albert Ceolan; raffinata Alda Failoni, i cui oli su carta sono intensi come per un bestiario medievale; concettuale Federico Lanaro; illustrativo Claudio Menapace; araldico Roberto Pedrotti; necrofilo Gianluigi Rocca; asciutto e arcaico Gianfranco Schialvino; grottesco Matthias Sieff; sofisticatissimo Aldo Valentinelli. Belle sono le semplici invenzioni di animali di legno di Adolf Vallazza. Bello è anche l'omaggio di Ivan Zanoni, che ci presenta le sue opere di ferro battuto.

Ma la felicità di questa occasione non è soltanto nel bestiario ispirato alle pagine di Rigoni Stern, con la luminosa e spontanea descrizione della vita della montagna, sull'altopiano di Asiago dove lo scrittore ha vissuto con gli animali, ma anche nella ritrovata forza della letteratura che si innalza e si fa poesia quando lo scrittore descrive le sue emozioni, come nell'umanissimo rapporto con il fedele Cimbro: «Aveva un singolare carattere, certo, a volte estroso e strambo, e quando gli veniva il ghiribizzo non c'era voce di padrone a farlo desistere; era lui che decideva dove andare, o di andarsene quando ne aveva voglia. Anche a recuperare la selvaggina era bravo, anzi bravissimo, ma a dartela in mano... E come potevo io sostituire un amico simile? Lui, che negli inverni di tanta neve lasciava beccare il suo cibo agli uccelli affamati e che alla notte li ospitava nella sua cuccia tenendoli al caldo tra le zampe e il petto. E che quando mi sentiva d'umore triste veniva a strusciarsi sulle mie gambe? Pensavo: Cimbro è morto e riposa per sempre sotto l'albero di sambuco, la mia barba s'imbianca, le gambe non sono più scattanti su per le erte dei monti, dei miei figli nessuno è cacciatore . Intanto scrivevo anche racconti di caccia, partecipavo a convegni, leggevo i racconti di Tolstoj e di Turgenev. Ma la mia, purtroppo, restava una caccia da letterato; sentivo che qualcosa mi mancava, e dentro avevo un che d'amaro e malinconico.

No, non sogno carnieri abbondanti, ma un andare lento nel bosco d'autunno con il mio ultimo cane da caccia, che ancora una volta mi porterà una beccaccia che rinchiuderà in sé foreste, spazi, cieli lontani e misteri della vita. Paesi e sogni di giovinezza per me, ora che il mio tempo scende al tramonto».

Nelle praterie e negli altopiani del Paradiso saranno tornati insieme.

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