La Cosa rossa si sente già orfana dell’Unione

Si spera ancora in un accordo con il Pd «o asfalteremo la strada al Cavaliere». E intanto si litiga sul nuovo simbolo

da Roma

Radicalmente indecisa a tutto, Cosa rossa non trionferà, ma almeno si presenterà. Bertinotti candidato premier.
I leader dei quattro partiti si vedono nel tardo pomeriggio alla Camera, ma senza tè e pasticcini. Non è idilliaco il clima, e lo si nota quando arriva il segretario del Pdci, Oliviero Diliberto, cui «il tè fa schifo e i pasticcini non mi pare siano all’ordine del giorno». Si deve parlare di falce e martello, piuttosto: il simbolo della classe operaia per gruppi dirigenti che di operaio mantengono poco o nulla. «Non si tocca», conferma Diliberto. «Bisogna mantenerli», sostiene anche il leader della minoranza rifondatrice, Claudio Grassi. Peccato che il segretario di Prc, Franco Giordano, abbia in mattinata convocato una conferenza stampa per mettere paletti invalicabili: «Il segno grafico dell’arcobaleno può rappresentare l’identità culturale di una sinistra nuova». Fabio Mussi, che i conti con il vecchio simbolo li ha fatti nell’89, neppure ne vuole sentir parlare: sarebbe come smentire vent’anni di vita politica. Ancora di più disorienterebbe i Verdi, per i quali la falce è strumento di morte per vegetali, il martello rappresentando l’odioso industrialismo inquinante.
Come se ne esce? Con un classico gruppo di lavoro, che a detta di Pecoraro Scanio «vedrà come realizzarlo al meglio». Diliberto, isolato, ci crede poco: «Alla fine decideranno i segretari», taglia corto. «Ma dove volete che vada?», alzano le spalle gli altri. L’insistenza servirebbe allora soltanto a incamerare crediti da spendere nella formazione delle liste. Stesso motivo ha portato la Sinistra democratica a puntare i piedi sull’ipotesi di Bertinotti candidato premier. «Molti diessini sono pronti a votarci, se non fosse che hanno una cattiva opinione di Fausto», hanno sostenuto, trovandosi isolati a loro volta: impossibile dire di no al presidente della Camera, uno dei pochi appeal della sinistra unita.
«È soltanto il primo incontro, un passo per volta», aggiunge Diliberto. Difatti i leader si sono concentrati sul problema più grosso: convincere Veltroni a rimangiarsi l’idea di correre da solo, e con un programma fortemente caratterizzato. Giordano aveva proposto un «patto di autodifesa dal Porcellum» con un «limpido accordo tecnico al Senato». Tutti d’accordo nell’intimare al leader del Pd un «incontro programmatico entro 48 ore» per porgergli la preghiera di desistere. D’altronde il «limpido accordo tecnico al Senato» non potrà che consistere nella deprecata (a suo tempo) desistenza. In cambio, la Sinistra Arcobaleno non chiederà neppure l’inserimento nelle liste del Pd di indipendenti nelle regioni dove non si presenterebbe.

Almeno, però, spera di riuscire a capire che cosa stia bollendo nella pentola veltroniana: una corsa solitaria al suicidio (con effetti rovinosi per gli astanti) o piuttosto il governo di unità nazionale con Forza Italia. Perciò, spiega Mussi, «andremo a vedere le carte di Walter. C’è chi ha aperto la strada a Berlusconi, ma asfaltargliela ci pare esagerato...».

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