Cotroneo, altro che complesso: questo amore è camuffo

L’autore sbandiera la sua ultima «fatica» come opera disposta su più piani. In realtà si tratta di una furbata acchiappa-lettori

Sono due, e solo due i casi in cui è doveroso che il critico letterario semini zizzania tra autore e lettore. Il primo si ha quando l’autore è in malafede e il lettore è uno sprovveduto, il secondo quando l’autore è uno sprovveduto in buonafede che senza la volontà di nuocere diffonde merce scadente o pericolosa. In entrambi i casi è opportuno denunciare una transazione che immiserisce l’elemento debole del contratto, il lettore, il quale perde tempo, soldi, e si riempie la testa di idiozie.
In una trasmissione radiofonica nella quale è stato intervistato a proposito di Questo amore (Mondadori, pagg. 136, euro 16), Roberto Cotroneo ha suggerito che le difficoltà che alcuni hanno avuto nell’apprezzare il suo ultimo romanzo nascono dalla sua complessità. Si tratterebbe infatti di un’opera disposta su molti piani. Cominciamo dal principale, la trama. Anna, un’insegnante di materie letterarie, dà ripetizioni a Edo, un ex calciatore di serie A che ha deciso di prendere la maturità classica. L’uomo vorrebbe aprire una libreria e ritiene, beato lui, che almeno la licenza liceale sia necessaria. Tra i due nasce l’amore. Si sposano, hanno due bambine, finché una mattina Edo perde la memoria. Non ricorda nemmeno il suo nome, dove abiti, chi sia la donna che dorme al suo fianco. Durante un viaggio intrapreso per ascoltare il parere di uno psichiatra, infine, scompare. Anna, rimasta sola, si trasforma in vestale. Attende e rammemora.
Il piano successivo è costituito dalla miriade di citazioni implicite ed esplicite tratte dalla grande poesia del Novecento. Questo secondo piano, che vorrebbe essere nobilitante, in realtà conferma e aggrava l’insipienza del primo. Cotroneo pilucca i versi di Montale, Ungaretti o Kavafis scegliendo esclusivamente quelli che confermano il gigantesco equivoco sulla poesia diffuso oggidì: la poesia sarebbe qualcosa che riguarda l’amore, il mare, il ricordo, le intermittenze del cuore, le atmosfere romantiche delle piccole librerie, e così via. E li sceglie con tale cura, questi versi, che finiscono con l’assomigliare ai quintali di kitsch fatti in casa dall’autore. «L’amore inizia nel corpo», accollato a «un poeta», raggiunge l’autografo «Il desiderio è una domanda la cui risposta nessuno conosce», o il penoso «Le parole della notte non contano. Contano solo le carezze della notte. E se non ci sono carezze conta la pioggia che batte fuori dalle finestre...».
Il terzo piano riguarda il colpo di teatro narratologico delle ultime pagine. Dove scopriamo che Edo non è mai scomparso, e che Anna in seguito a un incidente è caduta in coma e vi è rimasta per vent’anni. Calma! Se proprio dobbiamo ridere, facciamolo per bene. Azzardiamo allora che il minore degli svantaggi di questa trovata, è che a questo punto non sappiamo più se l’imbecillità della protagonista sia un effetto della sua dimestichezza con la poesia del Novecento, o al contrario debba essere attribuita ai postumi dell’incidente.
Sia detto tanto per dire: l’unico modo di salvare Questo amore è spacciarlo per il documento «clinico» di una personalità invasa da un demente e imbelle poeticismo; non il gioco trito della pluralità di interpretazioni, ma l’efferato camuffamento delle intenzioni dell’autore.

Purtroppo rivelarlo sarebbe equivalso a inimicarsi la maggior parte dei lettori, i quali non sono ipocriti, come pretendeva Baudelaire, magari lo fossero. Sono, più che altro, deboli di meningi, e dunque non vedono l’ora di mettersi nei panni di una scema.

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