«La prima cosa che ho fatto è stato spostare l'ufficio qui». Il qui di cui parla Angelo Crespi, da gennaio direttore dalla Pinacoteca di Brera, è il piano terra di Palazzo Citterio, via Brera 12-14, due civici oltre la Brera che tutti conosciamo e un'aggrovigliata vicenda di più di cinquant'anni la Grande Brera sognata negli anni Settanta dal soprintendente Franco Russoli la cui matassa sta finalmente per sciogliersi. «Il mandato del ministro Gennaro Sangiuliano è di aprire il 7 dicembre, per una prima della prima (della Scala) che riporterà Brera al centro della città». Abbiamo visitato il palazzo: il cantiere è in attività (vanno puntellati ancora degli spazi, si sta monitorando l'impianto di climatizzazione prima di posizionare le opere), gli interni sono di colore grigio, lineari e funzionali. Il delizioso giardino sul retro, nonostante la pioggia, si prende la scena: «Basta lasciare il portone aperto e ci troviamo subito i passanti che sbirciano. Durante il Salone del Mobile sarà aperto e in estate lo useremo per concerti», aggiunge Crespi.
Questo giardino segreto confina con l'Osservatorio di Brera e l'Orto Botanico: vicini di casa che presto comunicheranno, grazie al progetto già finanziato per aprire il cosiddetto strettone da via Fiori Scuri e permettere ai futuri visitatori di entrare, visitare la Pinacoteca, passare dall'Orto e poi arrivare a Palazzo Citterio. Sarà una passeggiata «nella Grande Brera», è questo il nome su cui Crespi insiste. Formazione giuridica («e per fortuna: le incombenze amministrative sono tante»), giornalista, già presidente del MAGA di Gallarate e nei cda di diverse istituzioni, scherza: «Non posso neanche vantarmi di essere il primo direttore a Brera di Busto Arsizio», e in effetti Giuseppe Bossi, segretario dell'Accademia, lo ha preceduto nel 1801. Quadri del cuore? «L' Autoritratto e la Rissa in Galleria di Boccioni», risponde, ma conferma la posizione centrale di Fiumana, mastodontico dipinto di Pellizza da Volpedo, al piano sopra l'ingresso. Se in Pinacoteca ci si ferma al 1861, Palazzo Citterio guarda all'arte moderna. Eliminata la controversa sala in ingresso e utilizzato il piano nobile, notevolmente affrescato, per allestire le collezioni Jesi e Vitali (pezzi notevoli di Morandi, Picasso), il palazzo diventerà anche un luogo del contemporaneo dove anticipa il direttore ci sarà spazio per mostre temporanee nella suggestiva sala ipogea di James Stirling («la prima sarà dedicata a un grande artista italiano») e all'ultimo piano (già in agenda una mostra di architettura sulla storia dell'edificio).
«Abbiamo sburocratizzato Brera», dice Crespi che ha riallacciato i rapporti con la soprintendenza dopo periodi turbolenti. Il lavoro da fare è tanto, ma il direttore può contare su una Pinacoteca «già ben allestita dal mio predecessore, che ha raggiunto nel 2023 i 466mila visitatori all'anno, come Galleria Borghese: siamo quasi al picco, più di così ci stiamo». I numeri contano? «Se faremo più 100mila con Palazzo Citterio sarò contento», dice Crespi che non nasconde «l'orgoglio e una certa preoccupazione» per l'incarico.
Dopo aver chiamato Chiara Rostagno quale sua vice, pensa a «un patto per Brera: vorrei coinvolgere 20 o 30 persone e aziende per trasformarli in donors attraverso l'art bonus, strumento intelligente introdotto da Franceschini e mantenuto dal ministero. La Scala lo ha usato ricavandone 170 milioni di euro, dobbiamo iniziare a sfruttarlo anche noi per sostenere tutte le attività future della Grande Brera».
Tante le caselle ancora da riempire (attesi i primi dieci custodi, ma ne servono una quarantina, vanno fatti la biglietteria e un bar), ma Palazzo Citterio c'è, eccome, e girare per le sue sale è una gioia che attendavamo da tempo.
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