Il Premio De Sanctis per la letteratura quest'anno è dedicato all'editoria. Vincono la XII edizione: Alfonso Berardinelli per la saggistica ( autore di Un secolo dentro l'altro, il Saggiatore); premio speciale della giuria a Ernesto Ferrero; premio della narrativa a
Antonio Franchini (autore di Leggere Possedere Vendere Bruciare, Marsilio); a Francesca Mannocchi per il giornalismo; premio per l'editoria a Elisabetta Sgarbi, editore La Nave di Teseo. La cerimonia di premiazione si terrà venerdì 19 maggio alle ore 17,00 nella sede di Villa Doria Pamphilj a Roma, residenza istituzionale della Presidenza del Consiglio, alla presenza del Ministro dell'Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara. Franchini, Sgarbi e Berardinelli intervengono oggi sulle nostre pagine.
Quale è il ruolo del critico oggi?
«Il ruolo del critico nasce all'interno di una cultura e di una società determinate. È un ruolo forte quando lo si vive in situazioni conflittuali che coinvolgono a fondo le idee e gli intellettuali. Oggi i conflitti sociali sono culturalmente fiacchi, non producono contrapposizioni letterarie, filosofiche e artistiche. I partiti politici si scontrano senza creare precise interpretazioni alternative della realtà. In mancanza di argomenti, si richiamano in vita fantasmi come comunismo e fascismo...»
Così la critica ha proprio perso il cosiddetto ruolo.
«La critica letteraria deperisce, si accademizza, se non è anche critica della società, del costume, del linguaggio, delle idee. Oggi la critica ha perso rilevanza sia nei giornali che nelle università perché chi dovrebbe scriverla non osa criticare la produzione culturale corrente, le mode, le burocrazie culturali, i consumi, il successo di massa e le sue star di cartapesta, o meglio di plastica».
Ciononostante un canone valido rimane, per valutare la letteratura contemporanea?
«Un canone minimamente credibile e utile oggi non può che riesaminare il Novecento. La letteratura di oggi è fatta di sovrapproduzione editoriale. Si scrive e si pubblica tanta narrativa soprattutto per venderla, per vincere premi... E i lettori di oggi pensano e discutono poco. Vogliono sognare. O fingere di sognare. Se non si sa rileggere il Novecento non si sa scrivere. Quanto al canone, ogni scrittore dovrebbe formarsi il proprio canone personale. Fatto più di scrittori veramente amati e che ci servono che non di nomi famosi».
Per questo di critica avremmo bisogno, o no?
«I critici sono a loro volta scrittori. La critica è una vocazione. È riflettere su ciò che si legge e parlarne in pubblico. È una pratica illuministica. Oggi neppure chi va al cinema osa parlare e giudicare il film che ha visto. Si consuma cultura. È per questo che editori e autori sfornano letteratura di consumo che fra sei mesi è già dimenticata perfino da chi la recensisce. La critica è stata sostituita dalla pubblicità dei libri più venduti: il critico più autorevole e dogmatico oggi è il mercato».
Principale difetto dei lettori contemporanei?
«Sembra che abbiano studiato poco e male, anche quelli laureati. Non leggono i classici neppure dell'Ottocento. Ne hanno una gran paura. Ma chi non ha letto Dostoevskij e Baudelaire non capirà mai niente di narrativa e di poesia».
E il pregio? Sono cresciuti rispetto al secolo scorso?
«Ovviamente sono peggiori. Sono molti di più, ma non hanno pazienza, gusto, concentrazione. I nuovi media e social di massa stanno distruggendo la capacità di leggere. La cattiva qualità della lettura, il non discuterne, la mancanza di spirito critico sono le cose che hanno indebolito e immiserito molta letteratura».
Suggerimenti per evitare il baratro?
«Consiglierei di organizzare
piccoli circoli di lettura a voce alta, in cui poi si parla di quello che si è letto. La critica in fondo nasce da questo e non è altro che questo: parlare di quello che si è letto, discutere i propri e gli altrui giudizi».
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