I punti chiave
Aveva paura, voleva staccarsi dalla famiglia e formarne una sua, studiare e lavorare, essere un’“Italian Girl”, come il suo nick sui social. Oggi, nella corte d’assise di Reggio Emilia, al processo per il sequestro, l’omicidio e l’occultamento del cadavere di Saman Abbas, è il giorno della testimonianza di Saqib Ayub, il fidanzato che la 18enne aveva scelto da sé, rifiutando il matrimonio scelto dalla famiglia con un cugino più vecchio. Ed emerge in quella testimonianza il desiderio di Saman di “lavorare e studiare ma i genitori non le davano il permesso”.
La testimonianza di Saqib
Saqib Ayub ha ripercorso il loro processo di conoscenza e di innamoramento, iniziato proprio su un canale social, TikTok, a gennaio 2021. Saman lo avrebbe incontrato una prima volta in Polonia e poi “altre quattro volte tra Bologna e Roma, solo una prima volta con l'autorizzazione poi no perché la comunità non le dava il permesso di uscire”. Saman aveva infatti denunciato i genitori, accusandoli per il matrimonio forzato, ed era stata collocata dai servizi sociali italiani in una comunità.
La decisione di Saman e Saqib di sposarsi sarebbe arrivata ad aprile 2021, poche settimane prima della sua scomparsa e dell’omicidio: “Saman venne a Roma. Le dissi io di venire perché lavoravo lì. Trascorremmo insieme nove giorni durante i quali decidemmo di sposarci. Prima ne parlavamo solo, a Roma prendemmo la decisione. Io comprai il mio abito da sposo e chiesi a mia madre di far arrivare dal Pakistan quello per lei”.
Ma la scelta del matrimonio esigeva il possesso dei documenti, rimasti nella casa di Novellara in cui gli Abbas vivevano e lavoravano. “Volevamo sposarci in fretta - ha spiegato Saqib - perché se no sarebbe tornata in comunità e sarebbe stato difficile farlo ma lei doveva recuperare il passaporto, un documento necessario per le nozze. Decidemmo insieme che lei doveva tornare a casa per recuperarlo”.
Da qui il ritorno di Saman a Novellara, dove scompare la notte tra il 30 aprile e l’1 maggio 2021. Il suo cadavere viene ritrovato un anno e mezzo più tardi, sepolto in un casolare abbandonato a poche centinaia di metri dalla casa. E la sua famiglia finisce in tribunale: vengono rinviati a giudizio il padre Shabbar Abbas, la madre Nazia Shaheen ancora latitante, lo zio Danish Hasnain, i cugini Ikram Ijaz e Noumanoulaq Noumanoulaq.
Stando al racconto di Saqib, Saman “era triste aveva paura” anche durante il loro soggiorno romano, e al ritorno in comunità diede al fidanzato “un elenco di numeri di persone da chiamare se le fosse successo qualcosa”. Secondo Saqib la preoccupazione sarebbe derivata dalle minacce ricevute dai famigliari del ragazzo in Pakistan e dal fatto che il padre potesse metterla in pericolo: “Saman mi disse che suo padre era stato il mandante di un omicidio i cui esecutori erano stati due suoi parenti e un africano che poi erano finiti in galera”. Questa vicenda però non è stata riscontrata.
Saqib ha ribadito quanto detto in precedenza, ovvero che Saman gli abbia chiesto di chiamare i carabinieri se non l’avesse sentita per 2 o 3 giorni, e il 4 maggio 2021 il giovane contattò le forze dell’ordine. “L'ultima volta che l'ho sentita - ha chiosato - era preoccupata. Mi disse che sua madre girava per la stanza”. Non solo: la 18enne avrebbe ricevuto “una chiamata di minacce dal profilo Instagram della madre Nazia da parte di un uomo che, secondo Saman, era suo zio Danish”.
Shabbar non risponde
Il padre di Saman, Shabbar Abbas, la cui testimonianza era attesa per oggi, si è avvalso, com’è suo diritto, della facoltà di non rispondere, seppur presente in aula. Si tratta di “una scelta tecnica, probabilmente rilascerà spontanee dichiarazioni in aula dopo che avrà sentito la testimonianza del figlio”, come ha chiarito il suo avvocato Enrico Della Capanna.
Nella ridda di accuse e contraccuse starà infatti al tribunale stabilire se tra gli imputati c’è un mandante e un esecutore materiale dell’omicidio, oltre che individuarne l’identità. Il fratello minore di Saman, oggi maggiorenne ma in comunità protetta essendo un testimone, ha sempre indicato nello zio Danish l’esecutore materiale del crimine. Danish, per parte sua, afferma che quella notte dormiva, di essere sopraggiunto quando ormai Saman era morta, e che gli sia stato detto che a ucciderla sia stata Nazia.
“La difesa dello zio - ha aggiunto Della Capanna - sta cercando di spostare l'attenzione sulla madre, come autrice del delitto. Ma stando ai filmati delle telecamere non avrebbe avuto il tempo materiale per andare e tornare dalle serre”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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