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La Procura di Napoli ha deciso di interrompere il percorso di collaborazione avviato alcuni mesi fa dall'ex capoclan dei Casalesi, Francesco Schiavone, meglio noto come "Sandokan". Gli inquirenti hanno revocato il programma di protezione cui era stato sottoposto il detenuto, ritenendo che le dichiarazioni rilasciate finora non fossero utili. Schiavone torna dunque al 41 bis, il carcere duro. La decisione è stata assunta di concerto tra la Procura della Repubblica di Napoli, coordinata dal magistrato Nicola Gratteri, e i pm della Direzione Nazionale Antimafia.
Stop alla collaborazione
L'indiscrezione era già nell'aria da qualche settimana. Stando a quanto trapela, la collaborazione è stata interrotta poiché Sandokan avrebbe riferito ai magistrati circostanze e fatti molto datati nel tempo, già noti o addirittura senza riscontri oggettivi. Dunque, negli ultimi giorni sono state ultimate le procedure per la revoca del programma di protezione cui era stato sottoposto. Motivo per il quale Schiavone, in seguito al via libera del Ministero della Giustizia, è tornato al regime del carcere duro riservato ai boss.
I rumors sulla presunta malattia
L'ex capoclan dei Casalesi aveva espresso la volontà di voler collaborare con la giustizia nei primi mesi del 2024, la notizia è stata poi ufficializzata a marzo. Secondo alcuni rumors, per la verità mai accreditati, Sandokan sarebbe rimasto vittima di un tumore. A suffragio di questa ipotesi (o forse una maldicenza) era sopravvenuto il trasferimento, da alcuni ritenuto "sospetto", del detenuto dal carcere di massima sicurezza di Parma a quello dell'Aquila. Così come era stato per Matteo Messina Denaro, il boss di Castelvetrano morto a settembre dello scorso anno per un cancro.
Le aspettative sul pentimento
Arrestato nel 1998, Schiavone fu condannato all'ergastolo nel maxi processo "Spartacus" e per diversi omicidi. La notizia del pentimento aveva sorpreso gli stessi familiari dell'ex "primula rossa" della camorra casartena, mentre era stata accolta con grande soddisfazione negli ambienti della Giustizia. Si auspicava che il denuto potesse fare rivelazioni importanti sui tanti misteri ancora irrisolti, come l'uccisione in Brasile di Antonio Bardellino, fondatore del clan di Casal di Principe, e sui rapporti tra malavita e politica.
Specie in relazione ai business illeciti, per lo più appalti, che i Casalesi hanno intrattenuto storicamente con alcuni affaristi tra Roma, Emilia Romagna e Lombardia. Aspettative che, sulla scorta della notizia trapelata quest'oggi, sono state evidentemente deluse.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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