Otto mesi di carcere per Fabio De Pasquale, ex procuratore aggiunto della Repubblica a Milano, e per il suo collega Sergio Spadaro: è questa la richiesta di condanna pronunciata oggi nel processo in corso a Brescia a carico dei due ex magistrati, accusati di "rifiuto di atti d'ufficio" per avere tenuto nascoste prove decisive nel processo da loro condotto a carico dei vertici dell'Eni. De Pasquale e Spadaro avrebbero tenuto nascoste prove rilevanti che dimostravano l'innocenza degli imputati, tra cui l'amministratore delegato Claudio Descalzi, accusati di corruzione internazionale per presunte tangenti su una concessione petrolifera in Nigeria.
Alla fine, i manager Eni vennero ugualmente assolti. Ma se si fossero conosciuti i documenti nascosti dai due pm la loro assoluzione sarebbe stata ancora più facile, e il principale testimone d'accusa - l'ex avvocato Eni Vincenzo Armanna - utilizzato dalla Procura milanese sarebbe stato incriminato per calunnia.
Secondo la contro-inchiesta della Procura di Brescia, quella di De Pasquale e Spadaro fu una mossa deliberata per vincere a tutti i costi il processo Eni. Nella requisitoria di questa mattina, si chiede che ai due magistrati milanesi venga rifiutata la sospensione condizionale della pena, perché sono ancora in servizio e potrebbero ancora ripetere il reato, non avendo mostrato alcuna autocritica per il loro operato precedente.
De Pasquale, che ai processi Eni ha dedicato quasi per intero gli ultimi anni della sua carriera, sull'onda di queste indagini era stato nominato procuratore aggiunto: ma quanto emerso successivamente sui suoi comportamenti ha portato il Consiglio superiore della magistratura a retrocederlo a semplice pm, ed è tuttora in servizio
alla Procura di Milano. Spadaro, che nella vicenda Eni ha lavorato soprattutto come "spalla" di De Pasquale, ha invece ottenuto di essere trasferito alla Procura europea. La parola, dalla prossima udienza, passa alle difese.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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