Saman Abbas aveva rifiutato volontariamente l’Islam. È quanto emerge nel corso dell’udienza in corte d’Assise a Reggio Emilia. Le testimonianze raccontano infatti di una ragazza per nulla interessata al discorso religioso e che fin dal primo giorno fuori dalla casa dei genitori avrebbe vestito all’occidentale. Saman è entrata nella comunità di Bologna a novembre 2020, quando si era rivolta ai servizi sociali spiegando del matrimonio forzato con un cugino più vecchio deciso dai genitori. L’assistente sociale che seguì la giovane su incarico del tribunale dei minorenni di Bologna, ha detto in aula: “Il giorno dopo che venne portata in comunità Saman sembrava un'altra persona rispetto alla ragazza che 24 ore prima avevo visto nel mio ufficio quando mi raccontò delle nozze combinate. Andai in comunità per vedere la ragazza e parlare con la coordinatrice della comunità. Il giorno prima indossava i vestiti classici della sua cultura: pantalone, maglia lunga e velo. In comunità invece aveva i lunghi capelli sciolti, una magliettina nera e i jeans. Era, insomma, vestita all'occidentale. Le avevamo spiegato che se avesse voluto praticare la sua religione rispetto alla preghiera e all'alimentazione sarebbe stata super rispettata. Lei mi guardò per dire ‘anche no’, non le interessava il discorso religioso”.
Saman avrebbe lamentato con l’assistente sociale di trascorrere le giornate ad aiutare la madre nelle faccende domestiche, ma che avrebbe preferito studiare, possibilità che invece era stata concessa dalla famiglia al fratello minore, meno brillante di lei a scuola.
Il teste sul fidanzato
Un’altra testimonianza importante al processo arriva dal luogotenente dei carabinieri di Frosinone che ha incontrato il fidanzato che Saman aveva incontrato in Italia e scelto come suo amore per la vita, Saqib Ayub. Il militare ha raccontato di averlo visto per la prima volta il 12 febbraio 2021, quando il giovane fu chiamato in caserma “per essere ascoltato in qualità di fidanzato di Saman”. All’epoca Saqib viveva nel Frusinate in una cooperativa da rifugiato.
“Ho ascoltato le sue parole - ha raccontato il luogotenente su quell’incontro - [...] Non era molto preoccupato, era preparato perché ci aveva detto di esser stato già chiamato dagli assistenti sociali di Novellara. Abbiamo poi ricevuto una segnalazione da Bologna ad aprile per sentire nuovamente Saqib, in quanto non si avevano più notizie di Saman. Non lo abbiamo trovato, ci hanno detto che mancava da un mese ma il 5 maggio si è presentato spontaneamente per raccontarci che non aveva più notizie di Saman”.
I carabinieri acquisirono in quel momento le chat tra Saqib e Saman, tra cui una foto in cui lei presentava una vistosa ecchimosi sul volto. L’ultima chiamata tra i due risale il 30 aprile 2021 alle 23.05. Il luogotenente ha spiegato di averlo visto provato, sofferente, e che andava ogni giorno in caserma a sapere se ci fossero novità.
Il luogotenente ha aggiunto di aver reincontrato tre mesi dopo Saqib. In quell’occasione il giovane ha presentato denuncia contro Shabbar Abbas: “Il 12 maggio ha presentato denuncia nei confronti del padre di Saman per le minacce ricevute da lui tramite telefono. Sono state acquisite in quell'occasione foto, video e screenshot. Lui aveva già presentato un'altra denuncia al commissariato di Sora. E intanto continuava a venire da noi, quando mi vedeva chiedeva se ci fossero notizie fino a quando, il 7 giugno, è stato risentito dai carabinieri del reparto operativo di Reggio Emilia e Guastalla: è lì che ha detto di avere il telefono di Saman. Non era stato del tutto sincero, continuava a dire cose spezzettate, incalzato affinché dicesse la verità aveva crisi di pianto, si accasciava sulla sedia. Era reticente, cercava sempre di sviare”.
Saqib è accusato dall’avvocato di Shabbar, Akhmet Mahmood, di aver avuto un ruolo nell’omicidio di Saman. Non è però né mai stato indagato né rinviato a giudizio, come invece è accaduto alla famiglia di Saman: sono a giudizio infatti il padre Shabbar, la madre Nazia Shaneen ancora latitante, lo zio Danish Hasnain e i cugini Ikram Ijaz e Noumanoulaq Noumanoulaq. Saqib è attualmente parte civile nel processo.
“L'ho poi risentito io il 10 giugno - ha chiosato V.P. parlando di Saqib - [...] Da allora lo abbiamo trovato dimagrito, non mangiava, stava sempre a letto, in una situazione psicologica di fragilità. Qualche giorno dopo, il 14, l'amico interprete mi ha chiamato, dicendo di essere preoccupato perché Saqib non gli rispondeva e temeva per lui. Siamo andati a casa, nella cooperativa, e lo abbiamo trovato che stava male, abbiamo chiamato il 118 che lo ha poi portato a Cassino dove è rimasto ricoverato per una decina di giorni. Il 17 giugno mi ha fatto chiamare durante la degenza, mi ha chiesto un avvocato, continuava a dire che riceveva queste telefonate, gli abbiamo sequestrato i telefoni. Appena uscito dall'ospedale, accompagnato da un operatore, ha iniziato a prendere a testate un palo della segnaletica davanti alla caserma ed è poi svenuto. Lamentava il fatto che gli fossero stati sequestrati i telefoni, piangeva, diceva che non era giusto. Si è calmato solo quando gli è stato detto che lo avrebbero fatto chiamare due volte a settimana”.
Il 17 luglio Saqib ha ripresentato querela contro Shabbar, tornando a trovare i carabinieri solo nell’estate del 2022. Sarebbe apparso più in salute, con un’occupazione, ma ancora timoroso rispetto alle minacce ricevute da lui e dalla sua famiglia.
Nessuna certezza per Shabbar
Se la notizia che a Shabbar sia stata negata la possibilità di uscire su cauzione in Pakistan aveva causato sollievo nell’opinione pubblica, durante il processo in Italia la sua posizione è stata nuovamente separata dagli altri imputati, compresa la moglie latitante. Il suo legale italiano Simone Servillo aveva assicurato che Shabbar avesse intenzione di partecipare al processo, ma nei giorni scorsi a Islamabad, dov’era in corso l’udienza per l’estradizione, l’uomo non è stato presente.
Sul padre ora pesa anche la testimonianza dell’assistente sociale che ha affermato in tribunale: “Saman, una volta acquistata fiducia, mi raccontò dell'allontanamento volontario. Che aveva organizzato bene quel viaggio in Belgio per raggiungere il ragazzo di cui si era innamorata, che aveva prelevato dei soldi dai genitori, che aveva preso il treno da Reggio a Bologna fino a Milano, dove aveva passato una notte in stazione, da lì era arrivata in Francia fino al Belgio. Delusa dal ragazzo che era già fidanzato aveva chiesto al padre di andarla a prendere. Mi disse che una volta rientrata in casa era stata picchiata dal padre che le aveva lanciato contro un coltello, ferendo a una mano il fratello che si era interposto tra i due. La madre mi disse che si era ferito nel tagliare l’insalata".
Un’altra assistente sociale, A.O., ascoltata in tribunale, ha raccontato della chiusura da parte di Saman nei confronti del padre, un atteggiamento che successivamente avrebbe avuto anche nei confronti della madre: “A marzo siamo venuti a conoscenza di alcune minacce che il fidanzato avrebbe ricevuto nei mesi precedenti dal padre e Saman disse che il padre nel loro paese era un uomo molto potente. Descriveva il padre come un pericolo, raccontò di violenze, di maltrattamenti subiti quando viveva con i genitori, della sua reazione quando era rientrata dal Belgio, del coltello lanciatole contro, che aveva ferito il fratello che si era interposto. Disse inoltre che veniva spesso lasciata fuori casa dal padre, lei e la mamma, al freddo, al caldo”.
La stessa assistente sociale ha spiegato anche che il 19 aprile, pochi giorni prima della scomparsa della giovane, Shabbar l’avrebbe chiamata parlando di uno stato di salute precario della madre Nazia, in procinto di tornare in Pakistan: Shabbar avrebbe chiesto quindi di far incontrare Saman e la madre.
Il nodo dei documenti
Una delle ragioni per cui Saman aveva lasciato la comunità protetta per tornare a casa dai genitori è nei documenti che le occorrevano per sposare Saqib, ovvero il passaporto e il permesso di soggiorno in Italia. Ma quel permesso di soggiorno era scaduto a settembre 2020. L’avvocata Barbara Iannuccelli ha chiesto all’assistente sociale a questo proposito durante la sua testimonianza: “Lei sapeva che quei documenti erano scaduti nel settembre 2020 e perché non avete fornito a Saman una nuova copia?”. F.B. ha risposto di non essere stata a conoscenza della scadenza del permesso di soggiorno, e di aver aderito al protocollo previsto per i minori non accompagnati.
Intanto Differenza Donna di Roma parla di sottovalutazione del pericolo ventilato da Saman, che si era rivolta ai servizi sociali. L’avvocata Teresa Manente ha infatti commentato a margine del processo: “Ciò che emerge da quanto ha raccontato l'assistente sociale è che Saman, oltre ad essere obbligata a sposare un uomo che non voleva, reato procedibile d'ufficio e punito da 1 a 5 anni, era anche una donna che ha riferito di essere maltrattata, anche questo è un reato procedibile d'ufficio. È stata sottovalutata, a mio parere, la gravità della situazione. Una sottovalutazione dovuta anche forse a causa di una mancata specializzazione di quella che è una cultura, cioè il legislatore ha immesso il reato di matrimonio forzato e deve anche dare una capacità, una specializzazione. Questi servizi sociali devono specializzarsi in una situazione come quella, non possono pensare che è una situazione normale, quella non poteva uscire di casa”. Un collega di Shabbar e Danish ha testimoniato di non aver mai sentito parlare di Saman da loro, né di averla mai vista nell’azienda agricola di Novellara in cui lavoravano.
Il rapporto con Danish
Qual era il rapporto tra Danish e Saman? Danish è stato ritenuto dal primo momento, secondo gli inquirenti, l’esecutore materiale dell’omicidio: tuttavia è stato lui a portare la polizia penitenziaria sul luogo dell’occultamento del corpo, fornendo una versione del delitto in cui sarebbe stata Nazia la mano omicida.
L’avvocato di Danish Liborio Cataliotto ha confermato la bontà del rapporto tra il suo assistito e la nipote: “Lo zio Danish e Saman, da quanto emerge dai documenti in mio possesso, avevano un ottimo rapporto e lui in nessun modo ostacolava il suo processo di occidentalizzazione che era già iniziato”. Interrogata sulla possibilità che Saman abbia parlato di Danish, F.B. ha affermato che la 18enne non avrebbe mai menzionato lo zio.
L’assistente sociale A.O.
avrebbe contattato Saqib il 5 maggio 2021: il giovane le avrebbe riferito la propria preoccupazione per non essere riuscito a contattare Saman e avrebbe riferito minacce da parte di uno zio - ma non si sa se si tratti di Danish o altri - che in un messaggio vocale avrebbe pronunciato la frase: “Prima che scappa di nuovo, ammazzatela”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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