Renato Vallanzasca resta in carcere. La difesa alla Cassazione: "Ricorreremo ancora, ha un deficit cognitivo"

Respinto nuovamente il ricorso della difesa dell'ex re della mala milanese. No degli ermellini anche alla richiesta di perizia per accertare le condizioni di salute

Renato Vallanzasca resta in carcere. La difesa alla Cassazione: "Ricorreremo ancora, ha un deficit cognitivo"
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Renato Vallanzasca è anziano e ha un "deterioramento cognitivo". Che non solo è irreversibile, ma si è anche aggravato nel corso del tempo. Una situazione clinica molto delicata, che è stata descritta a lungo e nel dettaglio in una relazione medica redatta una quindicina di giorni fa dall'ospedale di Garbagnate milanese, dove spesso vanno i detenuti di Bollate e dove è recluso l'ex protagonista della mala milanese.

Ciò nonostante, la Cassazione ha rigettato con un provvedimento depositato oggi l'istanza avanzata dai suoi difensori di farlo uscire dal carcere - dove sta scontando condanne per quattro ergastoli e 295 anni per omicidi e rapine - con la formula del differimento pena ai domiciliari. Gli avvocati Corrado Limentani e Paolo Muzzi, avevano presentato ricorso contro la decisione del Tribunale di sorveglianza di Milano che, a fine maggio scorso, ha respinto la richiesta dei difensori di differimento pena, con detenzione domiciliare in una struttura adatta, per motivi di salute. E in seconda istanza, avevano chiesto alla Cassazione di disporre una perizia medica super partes per accertare le sue condizioni.

Vallanzasca ha passato oltre cinquant'anni da detenuto. Secondo la relazione dell'ospedale, è affetto da un processo neurodegenerativo primario, e sono altamente compromesse alcune capacità cognitive come la memoria, l'attenzione, la capacità di giudizio e quelle verbali. Non solo la cella non è il luogo più adatto a lui, secondo i legali, ma Vallanzasca dovrebbe stare in una comunità adatta al suo disturbo, ma avrebbe bisogno di "assistenza nel quotidiano".

A giugno l'accorato appello della ex moglie di Vallanzasca, Antonella D'Agostino. "È l'ombra di se stesso. Una larva umana. Che forse merita un po' di pietà”. Scriveva la donna in una lettera all'Ansa: "Mi chiamo Antonella D'agostino e sono stata sua moglie”. La donna ha parlato di “un amore fraterno più che un incontro folgorante tra un uomo e una donna”. “Ci siamo conosciuti che lui era un bambino. Io anche. Uno ‘scugnizzo’ di via del Giambellino, strada di Milano che, negli anni delle bombe, del terrorismo e della droga era conosciuta come malfamata e violenta.

Sua madre che lui ha sempre difeso, come è giusto che sia, non lo guardava, lui spavaldo diceva che andava tutto bene ma noi nel quartiere sapevamo che non era vero ed erano più le volte che mangiava qua e là che a casa sua”.

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