La "palpata sotto i 10 secondi" non è reato. E non si può parlare di molestie se la parte lesa "probabilmente mossa da complessi di natura psicologica sul proprio aspetto fisico (segnatamente il peso) abbia rivisitato inconsciamente l'atteggiamento dell'imputato nei suoi confronti fino al punto di ritenersi aggredita fisicamente". Sono le motivazioni con cui la presidente della Sezione penale del Tribunale di Roma, la giudice Maria Bonaventura, ha assolto due imputati: uno dall’accusa di violenza sessuale aggravata e l’altro per molestie sessuali. Nel primo caso, si tratta dell’episodio contestato al bidello 66enne di un istituto professionale capitolino che aveva palpeggiato i glutei a una studentessa di 17 anni e nell’altro del dirigente di un museo accusato di aver molestato una giovane dipendente. Il magistrato non è nuovo, per così dire, alla linea soft. Nel 2021 non aveva riconosciuto il reato di tentato omicidio contestato a un coniuge maltrattante per aver inferto alcune coltellate alla moglie poiché aveva ritenuto che i fendenti "non erano stati penetranti fino agli organi vitali".
La "palpata sotto i dieci secondi non è reato"
Una vicenda, quella della "palpata breve", che ha sollevato non poche polemiche. Al punto da spingere la procura a presentare ricorso contro la sentenza di assoluzione emessa dalle tre giudici della V sezione penale del Tribunale di Roma nei confronti del bidello 66enne. I fatti in breve: la mattina del 12 aprile 2022, il collaboratore scolastico aveva palpeggiato i glutei di una studentessa 17enne sulle scale della scuola. La ragazza aveva quantificato la durata del palpeggiamento tra i 5 e i 10 secondi. Il collegio, presieduto da Maria Bonaventura, aveva ritenuto che il toccamento era stato accidentale e dunque scevro da qualunque intenzione molesta da parte dell’imputato. Lo sfioramento "è durato tra i 5 e i 10 secondi - avevano messo nero su bianco le tre giudici - Pertanto appare convincente la tesi difensiva dell'atto scherzoso". E dunque il bidello era stato assolto perché "il fatto non costituisce reato".
Il caso del dirigente assolto dall’accusa di molestie
Sulla falsariga di quella precedente, anche la sentenza di assoluzione per il dirigente del museo capitolino accusato di aver molestato sessualmente una dipendente. La giovane, 20 anni, aveva denunciato il suo superiore che, in tre occasioni, si era fatto avanti con lei in modo piuttosto molesto. In una circostanza le aveva toccato fianchi, pancia e seno salvo poi baciarla contro la sua volontà. Ma per la giudice Bonaventura "non si può escludere che la parte lesa, probabilmente mossa da complessi di natura psicologica sul proprio aspetto fisico (segnatamente il peso) abbia rivisitato inconsciamente l'atteggiamento dell'imputato nei suoi confronti fino al punto di ritenersi aggredita fisicamente". In sintesi: la ragazza (per problemi inerenti alla percezione del suo aspetto fisico, per di più) ha frainteso l’atteggiamento del capo.
Da tentato omicidio a lesioni aggravate
C’è poi un’altra sentenza emessa il 4 ottobre 2021 dal collegio composto dal presidente Maria Bonaventura e dalle giudici Giunti-Bracone. È il caso di un coniuge maltrattante che aveva aggredito la moglie con un coltello da cucina durante un’accesa discussione avvenuta la sera del 22 novembre 2020. L’accusa aveva chiesto una condanna per tentato omicidio nei confronti dell’imputato ma per le giudici "la scarsa forza impressa nell’azione di accoltellamento, tanto che i fendenti non sono stati penetranti fino agli organi vitali, e le modalità di accoltamento mentre la vittima veniva bloccata, si pongono in contrasto con la volontà di provocare la morte" della donna. L’uomo era stato condannato a anni e sei mesi di reclusione per lesioni aggravate.
RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO
In relazione all’articolo pubblicato in data 25 luglio 2023 dal titolo “Le sentenze choc della giudice: dalla “palpata sotto i 10 secondi” alla vittima “complessata” si precisa quanto segue.
La sentenza riguardante il caso del dirigente del Museo di Roma che è stato assolto dall’accusa di molestie di una dipendente, non è stata emessa sulla base di un disagio psicologico della presunta vittima, bensì a seguito delle numerose testimonianze raccolte in dibattimento dalle colleghe, a cui quest’ultima avrebbe confidato gli episodi di molestie.
Le deposizioni raccolte, discordanti con quanto narrato dall’accusa, hanno minato, ad avviso dei giudici, l’attendibilità dei fatti descritti dalla persona offesa. Si legge, infatti, nella motivazione che gli elementi così conseguiti “non consentono di ritenere provata, oltre ogni ragionevole dubbio, la tesi accusatoria, dovendosi valutare insufficienti a fondare una pronuncia di condanna le sole dichiarazioni della parte lesa, inconciliabili con quanto emergente dal resto dell’istruttoria dibattimentale”.
Con riguardo al caso, invece, del coniuge che aveva aggredito la moglie con un coltello da cucina durante una discussione, che il Tribunale aveva derubricato da tentato omicidio a lesioni aggravate, si precisa che l’anzidetta derubricazione era stata chiesta dalla stessa accusa e accolta con un’articolata motivazione. Il Tribunale, infatti, non si è limitato a rilevare “la scarsa forza impressa nell’azione di accoltellamento” ma ha evidenziato, al contrario, che “la scarsa entità delle lesioni provocate alla persona offesa non sono circostanze idonee ad escludere di per sé l’intenzione omicida in quanto possono essere rapportabili anche fattori indipendenti dalla volontà dell’agente, come un imprevisto movimento della vittima, un errato calcolo della distanza o una mira non precisa”. Ad avviso del Collegio, però, la possibilità di aver cagionato ferite lievi alla vittima per mero errore del marito poteva ragionevolmente escludersi. Infatti, i fendenti sono stati sferrati dall’aggressore dopo aver bloccato la moglie, alla quale aveva fermato le mani e afferrato i capelli. Dunque, i colpi sono stati assestati debolmente senza possibilità di errore e la volontà di uccidere.
Analogamente lo spavento manifestato alla vista del sangue e la immediata richiesta di intervento degli operatori deponevano per la sola volontà dell’imputato di ledere la vittima, non di ucciderla. L’imputato è stato perciò condannato, senza condizionale, per il reato di lesioni aggravate.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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