Selfie tra poliziotti e manifestanti: bufera sulla sicurezza in un Brasile spaccato

Selfie tra poliziotti e manifestanti: bufera sulla sicurezza in un Brasile spaccato

Polemica in Brasile per i presunti vuoti di sicurezza nella gestione delle proteste di ieri che hanno portato all'assalto dei sostenitori di Jair Bolsonaro alla Piazza dei Tre Poteri di Brasilia. Sui social sono apparse foto che hanno richiamato a quanto avvenuto negli Usa il 6 gennaio 2021 durante i fatti di Capitol Hill: poliziotti che, togliendosi i paramenti difensivi, solidarizzano con i manifestanti arrivando addirittura a scattarsi dei selfie assieme.

Ciò è andato di pari passo con quanto accaduto nella notte brasiliana, nella prima mattinata italiana, riguardo la ricerca assidua da parte dei governativi di coloro che il presidente Lula ha definito "vandali fascisti", ovvero gli assalitori di Brasilia. La Folha di Sao Paulo, ripresa in Italia dall'Ansa, riporta che i poliziotti federali chiamati dal governo a reprimere le proteste anche nella zona del comando delle forze armate hanno trovato sbarrata dall'esercito la strada che portava al luogo di raduno dei bolsonaristi.

L'Ansa segnala che "le autorità locali hanno organizzato una riunione con responsabili militari, a cui partecipa anche Ricardo Capelli, designato dal presidente Luiz Inacio Lula da Silva come responsabile dell'intervento del governo federale nel distretto di Brasilia". Si crea un problema di competenze: il governo regionale di Brasilia, Distretto Federale come Washington, è stato esautorato dalla gestione della sicurezza pubblica, che è passata al governo. Bahia, Piauì e Pernambuco hanno mandato i loro poliziotti a sostegno delle forze federali e 2.500 truppe sarebbero in controllo diretto di Lula. Tuttavia anche di fronte alla repressione delle proteste violente di Brasilia si è aperta una crisi di legittimità tra poteri.

In sostanza l'esercito, il cui quartiere generale si trova nel cosiddetto Settore militare urbano (Smu), non vuole cedere tutte le sue competenze al controllo diretto dell'esecutivo. Sostanziatosi ieri nel richiamo della polizia militare in luogo di quella federale accusata di inettitudine e solidarietà con i manifestanti dallo stesso Lula.

400 persone sono state arrestate, nel frattempo, mentre le forze armate e la polizia militare si trovano giocoforza a collaborare per mettere in campo una risposta strutturata alla crisi. Ma la tensione delle ore post-irruzione dà l'idea di un Paese spaccato, in cui la lotta non è solo tra i partiti e i leader, ma tra gli stessi apparati dello Stato. Non dimentichiamo che Lula è stato eletto a strettissima maggioranza al ballottaggio, che Bolsonaro gode di un forte sostegno legato principalmente al timore della classe media urbana per il ritorno al potere della sinistra e che interi comparti mediatici, come O Globo (oggi in prima linea contro i manifestanti), hanno criticato con forza l'agenda economica del presidente rientrante.

La democrazia brasiliana tiene, ed è un'ottima notizia, ma le tensioni sono a fior di pelle. E non si placa la polemica istituzionale sul mancato intervento dei federali ieri di fronte all'ingresso in forze dei manifestanti al Planalto. I casi sono due: in alcuni punti la massa dei manifestanti era tale da giustificare una reazione più "morbida", in altri l'effrazione non è stata contrastata. Difficile fare di tutta l'erba un fascio, anche se molti puntano il dito contro un presunto boicottaggio securitario dell'opera di organizzazione del cordone sanitario attorno ai palazzi del potere ad opera di Anderson Torres, segretario alla sicurezza di Brasilia e bolsonarista convinto.

Emerge in quest'ottica una prospettiva inquietante, di fronte a questi sospetti: in Brasile parti dello Stato anti-luliste potrebbero essere tentate dal "sabotare" l'agenda presidenziale nei fatti, così come in passato è successo che apparati come il Ministero delle Finanze frenassero capi di Stato come Bolsonaro e lo stesso Lula in nome di vincoli, legami internazionali e prospettive di potere.

Il tema dunque è sulla sostanzialità della democrazia e della capacità d'azione della politica, difficile da garantire in un Paese spaccato. Come del resto ben insegnano gli Stati Uniti, ove dopo Capitol Hill le istituzioni sono diventate un terreno di lotta politica a tutto campo.

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