«Non è un atto politico» è costretto a precisare il presidente francese Emmanuel Macron, dopo l'arresto in Francia del fondatore di Telegram, Pavel Durov. Eppure più passano le ore da quel sabato in cui Durov, cittadino russo e francese, è finito in manette all'aeroporto Le Bourget, nord di Parigi, più la questione prende i contorni di un caso con possibili precedenti e quasi certe ripercussioni politiche internazionali. Inevitabile, considerato il ruolo che il servizio di messaggistica istantanea creato da Durov - 1 miliardo di utenti e 30 miliardi di valore - ha avuto finora nella guerra fra Russia e Ucraina, grazie alla notorietà del suo sistema di criptazione che consente agli utenti di effettuare comunicazioni protette e preservarne la privacy. Fino a ieri pomeriggio, le accuse a carico del 39enne non erano ancora state rese note ufficialmente. Solo 48 ore dopo l'arresto, la Procura di Parigi ha comunicato che sono 12 i capi di imputazione contestati al fondatore di Telegram, nell'ambito di un'indagine aperta l'8 luglio, per complicità in una serie di crimini commessi sulla sua piattaforma Telegram, tra cui frode, traffico di droga, pedopornografia, cyberbullismo, criminalità organizzata e promozione del terrorismo. Il fondatore di Telegram è accusato della mancata moderazione dei contenuti e dell'omessa cooperazione con le forze dell'ordine, di non aver adottato dunque misure adeguate per frenare l'uso criminale della sua creatura. Il giudice parigino ne ha anche prolungato la custodia cautelare, che può durare al massimo 96 ore, fino a domani 28 agosto.
E se Macron corre a precisare che non c'è nulla di politico nell'arresto, il Cremlino si affretta a spiegare che «non c'è stato alcun incontro» tra Durov e il presidente russo Vladimir Putin. A spingere al chiarimento il portavoce Dmitry Peskov sono i sospetti su uno scambio o un possibile accordo sulla sorte di Durov, che in realtà sembra più una fake news, una «teoria del complotto» basata sul fatto che l'imprenditore è stato arrestato a Parigi al suo arrivo da Baku il 24 agosto. Proprio nella capitale dell'Azerbaigian, il 18 e 19 agosto, il capo del Cremlino ha fatto una visita di Stato e secondo fonti ben poco attendibili Durov gli avrebbe proposto un incontro. Il Ceo di Telegram professa di essere neutrale nella guerra fra Mosca e Kiev. La sua frattura con il Cremlino, che lo spinse a lasciare la Russia nel 2014, è dipesa dalla decisione di negare alle autorità informazioni sui profili degli attivisti ucraini dopo la Rivoluzione arancione e la guerra di Crimea quando la sua invenzione era il social VKontakte, versione russa di Facebook. Ora il suo Telegram, che lui dice di voler mantenere una «piattaforma neutrale», è stato indispensabile a entrambi gli eserciti ed è pieno di slogan #FreeDurov (liberate Durov) rilanciati anche da migliaia di russi. Mosca, che ne chiede la liberazione mentre tenta di bloccare l'app, gli lancia un messaggio: «Ha sbagliato quando ha deciso di lasciare la Russia - dice il vicepresidente del Consiglio di sicurezza nazionale Dmitry Medvedev - Durov ha fatto male i suoi calcoli. I nemici che ora abbiamo in comune lo vedono come un russo e, quindi, imprevedibile e pericoloso. È giunto il momento che capisca che non si può scegliere né il Paese d'origine né i tempi in cui si nasce».
Considerati i natali a San Pietroburgo e il suo peso nel conflitto, l'ambasciata di Mosca si è attivata dopo l'arresto, anche se Parigi intende far prevalere la naturalizzazione francese del miliardario, residente negli Emirati arabi dove ha sede la sua società.
Tra le ipotesi che circolano c'è anche quella che Durov non sia finito a Parigi per superficialità, ma si sia consegnato per evitare una fine peggiore. Dalla Francia, infatti, non può essere estradato. Ma la società si difende e scrive su X per spiegare che «Telegram rispetta le leggi dell'Ue» e che il suo Ceo «non ha nulla da nascondere e viaggia spesso in Europa».
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