Jeffrey Dahmer, la storia vera del cannibale di Milwaukee

Reso celebre in tutto il mondo dalla serie di Netflix, Jeffrey Dahmer è stato uno dei serial killer più brutali della storia americana: 17 vittime accertate, ma il conto potrebbe essere più elevato

Conversations With A Killer: The Jeffrey Dahmer Tapes. Jeffrey Dahmer in Conversations With A Killer: The Jeffrey Dahmer Tapes. Cr. Netflix © 2022
Conversations With A Killer: The Jeffrey Dahmer Tapes. Jeffrey Dahmer in Conversations With A Killer: The Jeffrey Dahmer Tapes. Cr. Netflix © 2022

Violenza sessuale, necrofilia, cannibalismo e squartamento. La storia criminale di Jeffrey Dahmer è diventata nota in tutto il mondo grazie alla miniserie televisiva “Dahmer - Mostro: la storia di Jeffrey Dahmer” con Evan Peters nella parte del serial killer e alla docu-serie “Conversazioni con un killer: Il caso Dahmer”. Milwaukee Cannibal e Milwaukee Monster i suoi soprannomi più noti una volta ricostruito il suo percorso omicida, ma c’è un grande interrogativo che continua a non avere risposta: come ha fatto Jeffrey Dahmer, condannato nel 1988 per abusi sessuali su un minore, a evitare i sospetti e l'attenzione delle forze dell’ordine? I numeri (ufficiali) li conosciamo tutti: 17 uomini uccisi tra il 1978 e il 1991. Ma il bilancio potrebbe essere ancora più elevato.

Infanzia e adolescenza

Jeffrey Dahmer nasce il 21 maggio del 1960 a Milwaukee, Wisconsin. È il primo dei due figli avuti da Lionel Herbert Dahmer, studente di chimica della Marquette University e futuro ricercatore, e Joyce Annette Dahmer (nata Flint). Il padre trascorre la maggior parte del suo tempo in laboratorio e il suo carattere è freddo e distaccato, mentre la madre è il suo opposto: iper-emotiva, tendente all’autocommiserazione e con il terrore di essere trascurata. Dopo una breve parentesi legata alla nascita del primogenito, la coppia torna a vivere turbolenze tra litigi e incomprensioni. A rimetterci è il bambino, spesso privato di affetto e attenzione.

Definito un bambino energico e felice, Jeffrey Dahmer all’età di quattro anni è costretto a sottoporsi ad un intervento chirurgico per una doppia ernia. Superata la paura, alle elementari si distingue per la sua timidezza, ma anche per qualche segnale di abbandono legato all’assenza del padre e al malessere della madre, aggravatosi dopo la nascita del secondogenito. Il piccolo ha pochi amici e già in tenera età inizia a interessarsi di animali: da qui nasce il suo interesse, anzi la sua ossessione, verso l’anatomia.

La famiglia si sposta continuamente a causa delle esigenze lavorative del padre e per Jeffrey Dahmer diventa complicato instaurare rapporti di amicizia con i coetanei. Si avvicina sempre di più al mondo animale, il suo hobby preferito è fare delle lunghe passeggiate solitarie. A scuola, anche alle medie, non ama partecipare alle attività di gruppo e viene additato come “strambo” e “particolare” dai compagni. Nel 1970 le condizioni di salute mentale della madre crollano, tanto da costringerla a un ricovero in ospedale. Il figlio incomincia a incolpare se stesso per la sua malattia e anche il suo stato di salute inizia a peggiorare esponenzialmente.

Considerato sempre più emarginato, Jeffrey Dahmer inizia a bere birra e superalcolici dall’età di 14 anni, tanto da portare con sé a scuola una bottiglietta di liquore. “È la mia medicina”, spiega a un compagno di classe curioso. Raggiunta la pubertà, sviluppa interesse nei confronti degli altri ragazzi e inizia una breve relazione con un altro adolescente. Con lui i primi baci e i primi toccamenti. Inizia a fantasticare di dominare il partner fino alla totale sottomissione, fantasie che si intrecciano gradualmente con la dissezione. Il percorso scolastico è molto altalenante e la situazione a casa non migliora, tanto da spingere i due genitori al divorzio. Tra alti e bassi, Dahmer si diploma nel maggio del 1978.

Il primo omicidio

Una volta raggiunto il diploma, Jeffrey Dahmer va a lavorare in una fabbrica di caramelle e va a vivere da solo. I problemi con la legge arrivano pressoché subito: dall’esibizionismo alle molestie sessuali sui bambini, viene arrestato in più di un’occasione. Ma non basta. Vuole infatti realizzare molti dei suoi sogni più truculenti: l’omicidio ma anche il sesso con un cadavere. Il primo delitto è datato 1978, quando ha appena 18 anni.

Reduce da un concerto, Steven Hicks è alla ricerca di un passaggio quando incontra Jeffrey Dahmer. Il diciottenne lo accoglie a bordo della sua auto e lo invita a casa. Dopo aver bevuto e ascoltato un po’ di musica, Steven decide di andarsene ma Dahmer non è d’accordo, non vuole essere abbandonato. Non c’è niente da fare, il suo ospite non vuole restare. E così decide di colpirlo alle spalle con un bilanciere, per poi strangolarlo. Lo fa a pezzi, lo infila in diversi sacchi di plastica e sale in macchina per disfarsene. Per strada viene fermato dalla polizia che, nonostante il carico sospetto, lo lascia andare, complice il suo atteggiamento gentile ed educato. Il cadavere verrà seppellito in un bosco vicino casa.

Jeffrey Dahmer diventa il mostro di Milwaukee

Dopo averla fatta franca e aver esaudito il desiderio, Jeffrey Dahmer torna alla vita di tutti i giorni. Dopo aver abbandonato l’Ohio State University, si arruola nell’esercito e va in Germania. Dopo due anni viene congedato per problemi con l’alcol. Uno stato di ubriachezza perenne il suo, come testimoniato dall’arresto nell’ottobre del 1981 per guida in stato di ebbrezza e disturbi del comportamento. Torna dunque a vivere dalla madre e per cinque anni tutto fila liscio, ad eccezione dei suoi soliti atteggiamenti maniacali. Nel settembre del 1986 viene pizzicato a masturbarsi in pubblico e viene condannato a un anno di libertà vigilata.

Proprio in questo periodo commette il suo secondo omicidio. Il 20 settembre del 1987 incontra in un bar gay Steven Tuomi, un 25enne di origini finlandesi. Dopo aver assunto consistenti quantità di alcolici, Jeffrey Dahmer uccide il ragazzo in una stanza dell’Ambassador Hotel di Milwaukee. Chiude il suo cadavere in una valigia e lo porta a casa della nonna, dove, nello scantinato, ha rapporti sessuali. Anche in questo caso il corpo senza vita viene smembrato e gettato tra i rifiuti.

Passano sette mesi e Jeffrey Dahmer torna a colpire, questa volta la vittima è il quattordicenne Jamie Doxtator. Incontrato in un locale per omosessuali, viene adescato con un’offerta di 50 dollari per posare per una foto di nudo. Una volta giunti a casa, Dahmer lo strangola nello scantinato e ne getta i resti nella spazzatura. Nel marzo del 1988 è la volta di Richard Guerrero, messicano di 22 anni. Dopo averlo drogato, Dahmer lo soffoca con una cintura di pelle. Anche lui squartato e gettato nell'immondizia.

Il modus operandi

Jeffrey Dahmer non agisce a caso, non è mosso da un impeto improvviso. C’è una ritualità negli omicidi seriali e nella scelta della vittima. Solitamente incontra i malcapitati in bar e locali per gay, li invita a casa per vedere qualche videocassetta a contenuto pornografico o per realizzare delle foto artistiche di nudo dietro pagamento di denaro.

A questo punto Dahmer scioglie dei sedativi nell’alcol che offre alla sua vittima, che viene strangolata a mani nude o con una cintura una volta stordita. Prima, però, una sorta di lobotomia, forando il cranio e iniettando acido muriatico. Il più delle volte ha dei rapporti sessuali con i cadaveri e scatta delle foto-ricordo polaroid. Poi la seconda fase, ovvero lo smembramento del corpo: come da piccolo con gli animali, affonda il coltello nella carne e immortala ogni step.

Jeffrey Dahmer sperimenta dunque l’utilizzo di sostanze chimiche sui pezzi di corpo, ridotti così in una poltiglia maleodorante. Conserva i genitali in formaldeide, mentre le teste vengono bollite e poi il teschio dipinto di grigio. In più di un’occasione prova il cannibalismo, convinto che le sue vittime possano rivivere dentro il suo corpo. Infine, lo smaltimento tra i rifiuti, lontano da occhi indiscreti.

La serie di omicidi (quasi) senza intoppi

Allontanato da casa della nonna, Jeffrey Dahmer va a vivere in un’abitazione nei pressi della fabbrica di cioccolata in cui lavora. Nel settembre del 1988 adesca il giovane laotiano Somsak Sinthasomphone. Dopo avergli promesso dei soldi per un servizio fotografico, prova ad approfittarsi di lui ma il tredicenne riesce a sfuggire e a denunciarne le violenze. La denuncia porta all’arresto del 28enne e all’accusa di violenza sessuale. Dahmer si dichiara colpevole, sottolineando di essere convinto della maggiore età del giovane. In tutto ciò, continua ad uccidere: la vittima è Anthony Sears, 24 anni, aspirante fotomodello.

Il processo a carico di Jeffrey Dahmer si svolge nel maggio 1989 e si conclude con la libertà vigilata per cinque anni, un anno di semilibertà in casa di correzione, con possibilità di lavoro durante il giorno e rientro nella struttura per la notte. Dopo dieci mesi arriva il rilascio anticipato: Dahmer può riprendere la scia di delitti: uccide, violenta e fa a pezzi in ordine cronologico Edward Smith, Ricky Lee Beeks, Ernest Miller, David Thomas, Curtis Straughter, Errol Lindsey, Anthony Hughes, Konerak Sinthasomphone (fratello di Somsak Sinthasomphone), Matt Turner, Jeremiah Weinberger, Oliver Lacey e Joseph Bradehoft. Un totale di dodici omicidi in poco più di un anno, fino al giorno della cattura.

L'arresto, la condanna e la morte

Il 22 luglio Jeffrey Dahmer invita Tracy Edwards nella sua abitazione e agisce come sempre: lo stordisce con il sonnifero, lo ammanetta e lo porta in camera da letto. Ma qualcosa va storto: la potenziale vittima comprende il pericolo, colpisce Dahmer e scappa via. Fermato da una pattuglia della polizia, convince i due agenti ad andare a controllare l’appartamento: quello che scoprono lascia senza parole. Un vero e proprio mausoleo di un serial killer tra teste umane, ossa e resti in stato di decomposizione. Dopo una breve colluttazione, Jeffrey Dahmer viene immobilizzato e condotto in prigione.

Il processo inizia il 30 gennaio del 1992 a Milwaukee e Jeffrey Dahmer confessa sedici omicidi compiuti nei quattro anni precedenti nel Wisconsin, oltre a uno in Ohio nel 1978, ammettendo atti di necrofilia e cannibalismo. Molti si interrogano sull’efficienza delle forze dell’ordine: come è stato possibile agire in questo modo senza nemmeno un sospetto? Soprattutto alla luce della condanna per abusi sessuali su minore?

Il 13 luglio del 1992 Jeffrey Dahmer viene condannato all’ergastolo per ogni omicidio commesso per un totale di 957 anni di prigione. Rinchiuso nel Columbia Correctional Institute di Portage, il mostro di Milwaukee si converte al cristianesimo e si comporta da detenuto modello.

Già scampato a un attacco con coltello, Jeffrey Dahmer muore il 28 novembre del 1994, ucciso da Christopher Scarver, sofferente di schizofrenia. Letale la serie di colpi con l’asta di un manubrio trafugata dalla palestra del carcere. Il suo cervello sarà prelevato e conservato per studi scientifici.

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