Rapito, torturato e tenuto in un carcere segreto. La storia di Mohamed Dihani, attivista sahrawi nonché difensore dei diritti umani, sembra il copione di un film d'azione. E invece è la sua esperienza vissuta sul campo, a "stretto contatto" con l'intelligence marocchina, quella stessa intelligence catapultata al centro del Qatargate. La capacità di infiltrazione degli 007 del Marocco è salita alla ribalta soltanto negli ultimi giorni. Eppure c'è chi non si stupisce affatto delle notizie che stanno arrivando da Bruxelles, epicentro dell'ultimo scandalo europeo.
La testimonianza dell'attivista
Dinhani ha rilasciato una lunga intervista al quotidiano Il Messaggero nella quale ha parlato in maniera approfondita dell'intelligence marocchina. L'attivista ha lanciato durissime accuse nei confronti di Rabat, accusando i suoi uomini di aver usato la violenza contro di lui. "Sono stato rapito, torturato e tenuto in un carcere segreto dell'intelligence marocchina. A un certo punto mi hanno anche offerto dei soldi per lavorare con loro dall'Italia. Io ho rifiutato e allora mi hanno lasciato 7 mesi in una prigione sotto terra. Grazie alla giustizia italiana, però, sono riuscito a tornare qui", ha dichiarato Dinhani.
L'attivista è riuscito ad entrare sul territorio italiano, lo scorso 22 luglio, e a chiedere la protezione internazionale dopo aver vinto una lunga battaglia legale. Il tribunale di Roma ha disposto che la Farnesina rilasciasse il visto all'uomo per poter arrivare in Italia nel giro di sette giorni, e lo ha fatto mediante l'ambasciata di Tunisi, dove si trovava in quel periodo lo stesso Dinhani. Che, nel frattempo, era impossibilitato a metter piede nel nostro Paese in quanto il suo nome risultava inserito nella banca dati del Sistema di informazione Schengen (Sis) addirittura dal 2010.
Il ruolo dell'intelligence marocchina
Dinhani era descritto come un "presunto terrorista che avrebbe pianificato attentati sul territorio italiano, allo Stato Vaticano e in Danimarca". In realtà l'uomo non era mai stato accusato di simili reati. Queste etichette si basavano semplicemente su non meglio specificata "corrispondenza qualificata come riservata". Il tribunale di Roma ha dunque fatto notare che, non essendoci gli estremi di un segreto di Stato, la classifica "riservata" non poteva essere opposta all'autorità giudiziaria. E, al termine di una estenuante trafila burocratica, Dinhani è finalmente uscito dal labirinto.
Non sappiamo chi ha accusato l'attivista di essere un terrorista. Dinhani coltiva dubbi sull'intelligence marocchina, anche se non ci sono prove certe: "Fanno così con gli attivisti sahrawi, per tenerli prigionieri in Marocco". L'uomo ha inoltre avanzato una riflessione emblematica: "La domandata inquietante è: come fa il Marocco ad avere relazioni con chi gestisce il Sis". Stando alle rivelazioni di Dinhani, gli 007 di Rabay riuscirebbero addirittura a convincere gli Stati europei a inserire o disinserire le persone nella black-list Schengen.
"Nel 2012 gli 007 giravano per le carceri dove c'erano i presunti terroristi e proponevano di liberarli subito a patto di andare in Siria. A me, nonostante dovessi scontare altri 8 anni, mi proposero di pagarmi per stare zitto e collaborare con loro", ha affermato l'attivista.
L'ombra del Marocco
Ad una domanda più specifica sulla "potenza" degli 007 di Rabat, Dinhani risponde che "il Marocco è ovunque". "Il direttore dei servizi segreti marocchini è venuto in Italia più di una volta per parlare di sospetti terroristi, ma so che in ballo c'era di più", ha sottolineato. L'attivista aveva chiesto all'Italia di controllare i viaggi sospetti, dal 2010 al 2016, in Marocco effettuati da parlamentari italiani, eurodeputati italiani, associazioni e istituti di ricerca "che si rifiutavano di ascoltare le voci sarhawi, trasmettendo solo quelle filo-governative".
Tornando alla capacità operativa dell'intelligence marocchina, Dinhani ha spiegato che lo spyware Pegasus è stato usato come "braccio armato degli 007 marocchini per ricattare l'Europa e il resto del mondo". "Hanno spiato per tre anni giornalisti, politici", ha ribadito, ricordanco che anche il nome di Emmanuel Macron appare nell'elenco dei 50.000 numeri di telefono che sono stati presi di mira da questo software spia.
Non bastasse lo spionaggio, Dinhani ritiene che il Marocco utilizzi i migranti come arma di ricatto. "Se per esempio il ministro degli Esteri spagnolo dice di voler sostenere la causa del popolo sahrawi, il Marocco apre le frontiere in massa e i migranti si riversano sulle coste spagnole", ha affermato.
Per Rabat, il controllo del Sahara Occidentale è fondamentale, sia dal punto di vista strategico che economico. "Rabat non può sopravvivere con il Sahara occidentale indipendente, per questo è disposto a corrompere tutti", ha concluso l'attivista.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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