Il tribunale militare congolese di Kinshasa ha condannato all'ergastolo le sei persone - uno in contumacia perchè ancora latitante - accusate dell'omicidio dell'ambasciatore d'Italia in Congo, Luca Attanasio, il carabiniere Vittorio Iacovacci e l'autista Mustapha Milambo, in un episodio avvenuto nel febbraio 2021.
La decisione sul caso Attanasio
Alla sbarra c'erano cinque imputati mentre un sesto, il capobanda, risulta ancora latitante. La pubblica accusa aveva chiesto la pena di morte. La difesa aveva chiesto invece un'assoluzione per non aver commesso il fatto o almeno per dubbi sulla responsabilità degli accusati.
C'erano tuttavia numerosi interrogativi in sospeso, visto che da 20 anni nella Repubblica Democratica del Congo vige una moratoria che vede, di fatto, commutare le sentenze capitali in ergastolo. L'Italia, quale parte civile e Paese fortemente contrario alle esecuzioni, aveva chiesto che venisse inflitta direttamente una giusta pena detentiva. La sentenza che è appellabile.
Condanna all'ergastolo
Il giudice, il maggiore Freddy Ewume, li ha ritenuti colpevoli di "omicidio, associazione a delinquere, detenzione illegale di armi e munizioni da guerra", come già formulato dall'accusa. "Le vittime sono state rapite, trascinate in profondità nella foresta prima di essere giustiziate", aveva dichiarato il procuratore militare, capitano e magistrato Bamusamba Kabamba, chiedendo il massimo della pena per i cinque uomini già detenuti e per il sesto, latitante dal 22 febbraio del 2021, data dei fatti.
I sei uomini sono a processo dallo scorso 12 ottobre. Durante le udienze, l'accusa aveva presentato gli imputati come membri di una "banda criminale" e rapinatori stradali, che inizialmente non avrebbero avuto l'intenzione di uccidere l'ambasciatore, ma di rapirlo e chiedere un milione di dollari in riscatto per il suo rilascio.
Il risarcimento all'Italia e la reazione dei familiari
Da parte loro, i legali delle parti civili avevano chiesto al tribunale di "condannare tutti gli imputati" in nome dell'ambasciata d'Italia a Kinshasa, mentre in nome del padre dell'ambasciatore assassinato 60 milioni di euro di danni. Alla fine il tribunale militare congolese ha riconosciuto due milioni di risarcimento all'Italia in "via equitativa, dunque a carico dei condannati.
"Noi aspettiamo ancora la verità", ha commentato all'Ansa Salvatore Attanasio, il padre dell'ambasciatore morto due anni fa in Africa. Salvatore Attanasio, contrario all'ipotesi che i responsabili dell'omicidio avessero in mente un rapimento, attende l'apertura del processo in Italia prevista il 25 maggio e a cui parteciperà insieme alla vedova del figlio.
"Penso che l'Italia debba pretendere la verità perché Luca era il suo ambasciatore: rappresentava tutti noi", ha aggiunto il padre della vittima. "Non è solo un problema della famiglia. Questo non è un fatto di cronaca, ma un fatto politico e di Stato e lo Stato deve reagire".
L'uccisione di Attanasio
I cinque uomini arrestati, dopo iniziali ammissioni, si erano poi dichiarati innocenti sostenendo di essere stati spinti a confessare con la violenza, circostanza negata dall'accusa. Il 43enne Attanasio, il carabiniere Iacovacci e l'autista Milambo erano stati feriti a morte da colpi di arma da fuoco in un'imboscata tesa da criminali a un convoglio del Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite (Pam) con cui viaggiava nella provincia di Kivu Nord, area ad alto rischio da tre decenni per la presenza di decine di milizie.
Ricordiamo che sulla vicenda ci sono tre filoni di indagini. La procura di Roma, lo scorso novembre, aveva chiesto il rinvio a giudizio dei due funzionari del Pam Rocco Leone e Mansour Rwagaza, entrambi indagati per omesse cautele. Il focus della loro indagine è stato puntato sulle falle nella sicurezza per il trasferimento dell'ambasciatore e del carabiniere di scorta da Goma a Rutshuru.
Troviamo poi il filone d'indagine portato avanti dalla procura congolese, come descritto, e un terzo filone
del servizio di sicurezza dell’Onu per accertare le responsabilità dei dipendenti del Pam. C'è da capire tuttavia se l’Onu invocherà per i suoi due dipendenti l’immunità diplomatica o permetterà lo svolgimento del processo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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