Un caso sconvolgente arriva dall’Iran. Mercoledì 20 dicembre potrebbe essere giustiziata Samira Sabzian, una sposa bambina in carcere da dieci anni e condannata alla pena capitale per aver ucciso il marito. La ragazza, oggi quasi trentenne, è stata costretta a convolare a nozze quando era appena 15enne e quattro anni dopo, nel 2013, ha assassinato lo sposo. La sua esecuzione, inizialmente prevista per il 13 dicembre, è stata rimandata di alcuni giorni e avverrà nel carcere di Qarchak, in provincia di Teheran.
“A questo punto soltanto una forte reazione internazionale può salvare la sua vita”, ha scritto su X Mahmood Amiry-Moghaddam, il direttore della Ong Iran human rights che ha sede in Norvegia. “Lanciamo un appello a tutti i Paesi che hanno relazioni diplomatiche con la Repubblica islamica per chiedere di fermare l’esecuzione della pena capitare di Samira prima che sia troppo tardi”. Secondo il codice penale degli ayatollah, che si basa sulla legge islamica, chiunque sia colpevole di omicidio volontario è automaticamente condannato alla pena di morte, indipendentemente dalle sue motivazioni o dalle condizioni in cui è maturato il proposito di compiere il delitto. La famiglia della vittima ha l’autorità di decidere se proseguire con questa punizione o se concedere la grazia all’omicida e chiedere un compenso pecuniario.
#SamiraSabzian's postponed execution has been rescheduled for tomorrow morning. Please contact your politicians if your country has diplomatic ties with Iran and use #SaveSamira to demand her execution be halted immediately.
— Iran Human Rights (IHR NGO) (@IHRights) December 19, 2023
Read our 2021 report on women and the death penalty… https://t.co/CIuLA5tJbf pic.twitter.com/acv1twRKPi
Non sono mai state chiarite le circostanze che hanno portato Samira ad uccidere il marito, con cui viveva a Varamin, nella provincia di Teheran. Secondo il giornale filo-governativo Rakna, ha cospirato con la sorella minore Sara per avvelenare l’uomo. Il media ha definito le due donne “malvage”, mentre l’Ong Iran human rights ha dichiarato che “Samira, come tante altre donne nel braccio della morte, è vittima del sistema di apartheid di genere della Repubblica islamica”.
Per la prima volta dal giorno della sua incarcerazione, la donna ha potuto incontrare i figli nella settimana precedente all’esecuzione. Le era stato impedito di vederli in modo da “ammorbidire” i genitori del marito, con cui i piccoli sono cresciuti, nella speranza che cambiassero idea sulla sua condanna a morte. I nonni, però, hanno scelto di proseguire con la pena capitale.
Stando a quanto riportato dall’agenzia stampa Hrana, Samira soffre di gravissimi problemi di salute. Pare che non sia più in grado di parlare e che sia stata portata nell’aula di tribunale con una sedia a rotelle. Non è ancora chiaro se si tratti di una malattia o delle conseguenze di maltrattamenti in carcere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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