Uno sport politicamente corretto

È una svolta woke anche nel mondo dello sport, che alle ultime elezioni in giro per il mondo (Stati Uniti e Francia, i casi più clamorosi) ha visto i suoi campioni schierarsi in maniera netta

Uno sport politicamente corretto
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Giovani, bravi e (poco) raccomandabili. Rodrigo Bentancur, centrocampista del Tottenham, e Lamelo Ball, playmaker degli Charlotte Hornets. Uno il pallone lo prende a calci in Inghilterra, l'altro cerca di infilarlo in un cesto negli Stati Uniti. In comune hanno una multa, fresca di notifica. Identica la cifra: centomila (sterline in un caso, dollari nell'altro). E anche la motivazione. Due affermazioni politicamente scorrette. Il calciatore - riferendosi alla maglia del compagno di squadra sudcoreano Heung-min Son - aveva detto «potrebbe essere sua, ma anche di suo cugino, sono tutti uguali...». Il cestista - commentando a caldo il successo della sua squadra al supplementare sui Milwaukee Bucks del fenomeno greco Giannis Antetokounmpo - aveva attribuito i meriti a una «difesa non homo». Entrambi, al primo sopracciglio alzato, avevano eccepito scusandosi immantinente. «Non erano un commento razzista, ma comunque mi scuso» ha teorizzato Bentancur. «Non intendevo nulla di particolare con quell'espressione e non volevo offendere nessuno. Io voglio bene a tutti e non discrimino nessuno» ha puntualizzato Ball.

Ma le due organizzazioni sportive non hanno sentito ragioni. Multe confermate, per il calciatore anche sette giornate di sospensione da scontare nella Premier League. È una svolta woke anche nel mondo dello sport, che alle ultime elezioni in giro per il mondo (Stati Uniti e Francia, i casi più clamorosi) ha visto i suoi campioni schierarsi in maniera netta.

Sicuramente le due espressioni politicamente scorrette non rappresentano «buoni esempi» verso gli appassionati, che comunque raramente sugli spalti e nella sconfinata e non regolamentata arena dei social usano un linguaggio moderato. Anzi. Passioni viscerali generano reazioni impulsive. Solo che davanti alle telecamere lo standard è cambiato. Da brutti, sporchi e cattivi, basta che fossero vincenti ora li pretendono giovani, bravi e raccomandabili.

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