“Un serial killer psicopatico che non ha rispetto per la vita umana”. Queste le parole utilizzate da Mohamed Amin, capo della direzione delle indagini penali del Kenya, per descrivere Collins Jumaisi Khalusha, il 33enne che ha confessato di aver ucciso, smembrato e fatto sparire 42 donne nel giro di due anni. Una vicenda macabra, che ha scatenato la rabbia della popolazione per le falle nella sicurezza ma che ha anche alimentato dei dubbi sul reale bilancio delle vittime: c’è chi sostiene che Khalusha sia stato costretto a confessare anche dei delitti non commessi. Una cosa appare chiara, almeno per il momento: esistono dei gravi indizi di colpevolezza a carico dell’uomo, ma per delineare la reale entità delle vittime servirà del tempo.
L'arresto
La 26enne Josephine Owino, professione acconciatrice, è scomparsa circa un mese fa dalla baraccopoli di Mukura Kwa Njenga a Nairobi, capitale del Kenya. La donna è sparita nel nulla prima di incontrare una persona che aveva contattato telefonicamente. La sorella minore Peris Keya ha provato a cercare aiuto in tre stazioni di polizia, senza successo. Poi, dopo aver fatto uno strano sogno, riporta il NY Times, ha reclutato alcuni conoscenti per passare al setaccio una cava abbandonata trasformata in discarica. Lì la drammatica scoperta: almeno 10 sacchi con cadaveri di donne, per lo più torsi e arti amputati, tutte tra i 18 e i 30 anni. Sono state tutte identificate tramite il DNA ma è risultato impossibile stabilire le cause del decesso. Un'unica certezza: non sono state rintracciate ferite d'arma da fuoco.
Nella notte tra domenica 14 e lunedì 15 luglio 2024, a Soweto, zona est di Nairobi, la polizia ha arrestato il 33enne Collins Jumaisi Khalusha all’esterno di un locale dove era andato a vedere la finale di Euro 2024 tra Spagna e Inghilterra. L’uomo non ha opposto resistenza, anzi ha vuotato il sacco pressoché subito: è lui il serial killer dietro le decine di donne scomparse dal 2022 in avanti. 42 per la precisione. Dopo averle attirate con l’inganno, le ha uccise, fatte a pezzi e gettate all’interno della discarica sopra citata, situata nei pressi della sua abitazione.
Tre giorni dopo il ritrovamento dei cadaveri, la polizia ha perquisito l’abitazione di Collins Jumaisi Khalusha, un monolocale distante 100 metri dalla scena del crimine, e ha trovato diverse prove: un machete, 12 sacchi di nylon, un paio di guanti di gomma industriali, un disco rigido e otto smartphone, tutti oggetti riconducibili alle vittime o quantomeno agli omicidi. Inoltre, è stata fermata un’altra persona, pizzicata con il cellulare di una delle donne rinvenute senza vita nella discarica.
La prima vittima
Collins Jumaisi Khalusha ha confessato di aver iniziato ad uccidere nel 2022, appena due anni fa. La vittima è stata la moglie: il 33enne ha rivelato alle autorità di averla strangolata a morte prima di smembrare il suo corpo e farlo sparire. Per il momento non si hanno ulteriori dettagli, né conferme. Ma per la polizia si tratta di una confessione veritiera, considerando che il corpo della coniuge non è quella tra quelli rinvenuti nella discarica e quindi nessun investigatore avrebbe mai ipotizzato quell’omicidio.
La lunga scia di sangue
Finora sono nove i corpi mutilati e smembrati, chiusi in sacchi di plastica, che sono stati rinvenuti nella discarica ma Collins Jumaisi Khalush ha confessato altri 33 delitti. Tra le vittime identificate c’è Roseline Akoth Ogongo, 24enne che si era trasferita tre mesi fa per motivi di lavoro. Il fratello della donna, Emmanuel Ogongo, ha riferito che la sorella era felice ed estroversa e adorava pubblicare video su TikTok. La sua scomparsa risale al 28 giugno, nessuno ha più avuto sue notizie da quel giorno. La polizia ha ritrovato la sua borsetta rosa nell’abitazione del serial killer, come confermato dal fratello. Per il momento le autorità non hanno rivelato le identità delle altre donne uccise, ma esisterebbero dei legami con il 33enne reo confesso.
I dubbi su Collins Jumaisi Khalusha
Le prove dell’assassinio di diverse donne inchiodano Collins Jumaisi Khalusha, non ha dubbi l’autorità di controllo della polizia del Kenya. L’Independent Police Oversight Authority (IPOA) ha confermato che “i corpi, avvolti in sacchi e fissati con corde di nylon, presentavano segni visibili di tortura e mutilazione”. Ma c’è chi ritiene il conto di 42 vittime troppo elevato. L’avvocato del 33enne, John Maina Ndegwa, ha denunciato che il suo cliente è stato maltrattato dagli agenti e che la confessione non è autentica. Gli attivisti pro-democrazia hanno espresso preoccupazione sul fatto che i corpi potrebbero essere collegati alle sparizioni di persone durante le recenti proteste antigovernative, piuttosto che essere vittime di un serial killer.
Il Paese africano è sconquassato dalle proteste dei civili contro il governo. Nel mirino dei giovani l’aumento delle tasse, tanto da chiedere la testa del presidente William Ruto. Negli ultimi mesi la polizia è finita nel mirino dell’opinione pubblica per i metodi un po’ troppo violenti: decine le denunce dei gruppi per i diritti umani circa sparizioni forzate ed esecuzioni nascoste al popolo. Secondo alcune accuse circolate sui social, Collins Jumaisi Khalusha si sarebbe auto-accusato dei delitti di donne in realtà vittime della violenza delle autorità.
Ma c'è anche un altro dettaglio: nonostante le denunce di scomparsa, le autorità non hanno fatto nulla, lasciando di fatto campo libero all'assassino. Una falla, l'ennesima, in un Paese dall'equilibrio traballante. Seguiranno aggiornamenti, ma il caso Khalusha è destinato a tracciare un solco nella storia del Kenya.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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