Obiettivo sopravvivere. Di vincere, a sinistra, ormai non si parla praticamente più. Altro che «pronti alla sfida».
L'asticella è stata abbassata, di giorno in giorno, e ora pare che l'unica vittoria a portata di mano, dalle parti del Pd sia trovare un candidato che consen
ta di tenere il partito unito.
Così si spiega il «contest» estenuante che è andato in scena in questi giorni, fra nomination ed esclusioni. Le divisioni sono tali che non si prova neanche a individuare il nome giusto; il Pd cerca un candidato che gli permetta di sopravvivere come soggetto politico unitario, in una situazione difficile, molto difficile.
All'interno regna la confusione, fuori è in corso un assedio, su due fronti: da una parte preme la sinistra-sinistra, dall'altra il Terzo polo candida una Letizia Moratti scatenata, politicamente tanto disinvolta da passare da un'interlocuzione esclusiva con il centrodestra all'agitare lo spauracchio della «destra sovranista che ha come modelli Orban e Putin» (parole di ieri). La ex vicepresidente di centrodestra è impegnata in un pressing asfissiante verso gli ex avversari, e imperterrita nella convinzione che il Pd alla fine dovrà arrendersi, e accettare l'idea di sostenerla (nonostante le ripetute dichiarazioni dei vertici del partito continuino a escluderlo). Ieri anche Carlo Calenda è tornato a pressare gli (ex) alleati: «Non è che penso che la Moratti sia una scelta facile per il Pd e non penso sia di sinistra - ha detto - Stiamo dicendo se gli va di appoggiare una figura in Lombardia con caratura istituzionale. Potrebbe essere utile provare a vincere ogni tanto».
Assediato, diviso, confuso, ma anche legittimamente affezionato alle liturgie del suo «percorso democratico», il Pd vuole solo sopravvivere. Non è una «missione impossibile», intendiamoci, ma un obiettivo molto distante dalle velleità e dalle ambizioni che venivano proclamate negli anni scorsi, soprattutto nei mesi più duri della pandemia.
Il candidato presidente non c'è ancora, al massimo c'è una rosa, e non esiste neanche il famoso «perimetro» della coalizione: detto in altri termini, non si sa ancora quali e quanti saranno gli alleati.
E meno male che erano pronti. «Pronti a lanciare sfida al centrodestra» annunciava un anno fa il segretario Enrico Letta. «Lanciamo una sfida al governatore Fontana e al centrodestra in Lombardia - il suo proclama, datato 12 novembre 2021 - abbiamo ambizioni e speranze di essere competitivi».
Dopo 12 mesi e tre giorni, la situazione non ha fatto un passo avanti, anzi si è ingarbugliata, e quando mancano meno di 90 giorni al voto non è stato ancora messo in pista un nome, anzi quelli più gettonati si sono fatti da parte, irritati da tanta incertezza.
«Stiamo uniti e mandiamoli a casa» l'esortazione di Piefrancesco Majorino, ex assessore comunale di Milano, oggi deputato europeo. E pensare alla spavalderia degli anni scorsi. «Fontana non arriva alle elezioni del 2023 - scriveva nel settembre 2020, anno primo dell'era Covid lo stesso Majorino, fra gli accusatori massimi, e improbabili, della giunta regionale - Lo dico da settimane».
«Serve subito una proposta forte, un'alleanza ampia (le elezioni sono a turno unico, chi arriva primo vince), e una candidatura capace di parlare alla Lombardia, che è un territorio ampio e particolarissimo, con una grande città europea, centri con forte identità, piccole comunità. Dobbiamo iniziare subito e son convinto che lo faremo. Altrimenti saremmo pazzi».Ebbene, non lo hanno fatto.
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