"Non ci sono prove". Quei sospetti sul cadavere appeso al guardrail

Secondo la procura di Trieste, sul corpo non vi sarebbero segni di tortura, ma lesioni compatibili con il suicidio. Proseguono le indagini per far luce sull'identità della vittima

"Non ci sono prove". Quei sospetti sul cadavere appeso al guardrail
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Non sarebbe vittima di un omicidio l’uomo trovato impiccato al guardrail della Grande velocità triestina nella mattina di domenica 24 settembre. In una nota, la procura del capoluogo friulano ha sottolineato che gli elementi dell’indagine emersi fino ad ora “non sono in alcun modo indicativi di un decesso dovuto all’opera di terzi”.

L’ispezione del cadavere effettuata immediatamente dopo il recupero “non ha fatto emergere sul corpo alcun segno di tortura né di violenza, pertanto sono errate le notizie relative a bruciature, lesioni da taglio e traumi vari alla testa del deceduto”. Gli unici segni rivenuti sulla salma sarebbero post mortem, tipici della putrefazione o compatibili con un suicidio tramite impiccagione. Il medico legale ha fatto risalire il momento del decesso ad un lasso di tempo compreso tra le 36 e le 48 ore precedenti al ritrovamento. Ulteriori particolari saranno chiariti dall’autopsia. Confermato, invece, il fatto che gli occhi della vittima fossero bendati da una camicia e che mani e piedi fossero legati.

Gli investigatori hanno dunque scartato l’ipotesi che l’uomo sia stato ucciso per mandare un messaggio, come fatto intendere dai primi dettagli giunti dal luogo del ritrovamento. Inoltre, sul corpo sono stati trovati diversi documenti: un certificato del 10 settembre, che diagnosticava una “sindrome ansiosa depressiva” e prescriveva la necessità di una visita psichiatrica, rilasciato dalla Donk humanitarian medicine, un’associazione di medici volontari di Trieste; un foglio di prenotazione dei pasti presso la mensa Caritas del capoluogo friulano valido fino al 30 settembre; una denuncia di smarrimento dei propri documenti, ovvero il permesso di soggiorno e la carta di identità, rilasciati dalle autorità Belghe, e il passaporto emesso dalla Repubblica islamica dell’Iran. Tutta la documentazione risulterebbe a nome di B.K., nato a Teheran nel 1968 e a Trieste senza fissa dimora. L’identità dell’uomo sarà confermata solo all’esito delle investigazioni, che si svolgeranno anche attraverso i canali di cooperazione internazionale.

Il cadavere era stato scoperto da un gruppo di tecnici dell’Anas, impegnati in lavori di manutenzione a dei cavi elettrici sul tratto dell’arteria a grande velocità di Trieste all’altezza di Ferriera di Servola.

Il corpo si trovava in una zona parzialmente coperta dalla vegetazione e non visibile agli automobilisti. Dalle prime indiscrezioni trapelate sulla stampa, si pensava che l’uomo fosse di origini africane e che il corpo presentasse segni di bruciature e percosse compatibili con la tortura.

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