Condannato all’ergastolo in tutti e tre i gradi di giudizio per la strage di Erba, Olindo Romano, 61 anni, dal carcere di Opera, dove si trova detenuto (la moglie Rosa Bazzi è in quello di Bollate ndr), ha concesso un’intervista esclusiva al settimanale Cronaca Vera. L’11 dicembre del 2006, in via Armando Diaz, a Erba, in provincia di Como, morirono 4 persone: Raffaella Castagna, il figlioletto Youssef, Paola Galli e Valeria Cherubini. Mario Frigerio è stato l’unico sopravvissuto e la sua testimonianza è stata fondamentale per concentrare sin da subito le indagini su Olindo, netturbino, e la moglie Rosa, domestica, una coppia che più volte aveva avuto screzi con una delle vittime, Raffaella, e con l’allora compagno Marzouk, per i continui rumori che provenivano dalla loro villetta, adiacente a quella dei Romano.
Anche se all’inizio avevano confessato, da anni i due dichiarano di essere estranei al pluriomicidio. Nonostante le prove schiaccianti nei loro confronti, sono molti a credere nella loro innocenza, tant’è che di recente il sostituto procuratore generale di Milano Cuno Tarfusser ha chiesto la revisione del caso, parlando, per la prima volta, in una relazione di 58 pagine, di un possibile errore giudiziario.
Dunque si è accesa una speranza per i due coniugi e per coloro che da sempre li hanno sostenuti. Nella lunga intervista rilasciata a Cronaca Vera, di cui al momento è stata pubblicata solo la prima parte, Olindo racconta dettagli sulla sua vita quotidiana dietro le sbarre, costellata da progetti e speranze. L’uomo dipinge il ritratto di un uomo normale che nulla sembrerebbe avere a che fare con la terribile morte di Raffaela, Youssef, Paola e Valeria. E pare che anche in carcere lo considerino estraneo alla strage. “Nessuno mi ha mai rinfacciato di essere un mostro. Più le persone capiscono che sei innocente, più ti manifestano la loro solidarietà e questo certamente fa piacere. In un certo senso ti aiuta ad andare avanti”, dice a Cronaca Vera. Olindo rivela anche di annoiarsi e che per affrontare quello che appare un tempo lungo e dilatato si cimenta in diverse attività. Si è dedicato all’orto, alla cucina, aveva persino iniziato gli studi alla facoltà di Agraria, poi interrotti perché difficili. “Non riuscivo a concentrarmi e ho accantonato lo studio, per adesso”.
Il tono delle sue risposte appare pacato. Racconta di trascorrere le giornate leggendo i giornali o guardando la Tv, soprattutto i telegiornali. Poi ammette, quasi timidamente, che il computer non sa usarlo. "Tante cose sono cambiate da quando avete varcato la soglia del carcere", sottolinea il giornalista di Cronaca Vera. Ci sono gli smartphone, le auto elettriche, l’intelligenza artificiale, ma Olindo, fuori dal carcere, sogna una vita poco tecnologica: “Lontano da tutti, in campeggio in un bungalow senza vicini. Almeno per un annetto, poi si vedrà”, rivela.
In questi anni Olindo si è pure improvvisato inventore, costruendo un nuovo tipo di scacchiera che avrebbe voluto brevettare, ma non è stato un successo. “Si doveva giocare in quattro, ma forse era un gran casino e basta. Lasciamo perdere! Magari col tempo ci ritorno su...”, dice Olindo. L’intervista vira poi sulla corte di via Diaz, dove si è consumata la strage. Olindo racconta che in tanti gli scrivono manifestandogli solidarietà, tranne che dal luogo in cui vivevano lui e sua moglie: “Non penso abbiano il coraggio”, dice.
Olindo non nasconde che vorrebbe tornare a vivere proprio in quel
luogo dove tanto sangue è stato sparso. “Perché no? Mi ricordo che ci volevano tutti bene. Rimarrei comunque in Italia, non conosco le lingue straniere. Un giretto me lo farei volentieri, magari in Irlanda”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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