Cristiano Aprile ucciso a 12 anni nel 1987. L'ex poliziotto: "Il caso va riaperto"

L'omicidio avvenne in una casa del quartiere Monte Sacro di Roma 36 anni fa. Il killer non è mai stato trovato. Secondo l'avvocato Maurizio Barca, all'epoca poliziotto della squadra mobile, ci sarebbero gli elementi per poter riaprire le indagini

Cristiano Aprile ucciso a 12 anni nel 1987. L'ex poliziotto: "Il caso va riaperto"
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La mattina del 24 febbraio del 1987, in un appartamento al civico 35 di via Levanna, nel quartiere Monte Sacro di Roma, un bimbo di appena 12 anni, Cristiano Aprile, venne ucciso con dieci coltellate. A 37 anni dal delitto il killer non ha ancora un volto né un nome. Caso chiuso? Non per l'avvocato Maurizio Barca, che all'epoca partecipò alle indagini in qualità di vice ispettore della squadra mobile capitolina: "La storia ci insegna che anche casi molto vecchi - spiega l’ex poliziotto a Repubblica -possono essere riaperti dopo un’attenta rilettura delle carte. Ci sono poi alcuni elementi rimasti impressi nella mia mente che potrebbero essere d’interesse della Procura e che sono pronto a fornire. Ricordiamoci che a essere ucciso è stato un bambino innocente". Ma riavvolgiamo il nastro e torniamo a quella fredda mattina di inverno.

Uno sconosciuto bussò alla porta

È un martedì come tanti altri in casa Aprile. Valerio, il papà del bimbo, è andato al Galilei, l'istuto tecnico in cui insegna. Anche il figlio più grande, Patrizio, 17 anni, è già uscito. Nel piccolo e grazioso appartamento di Levanna 35 sono rimasti Fiorella Baroncelli, 39 anni, e i figli piccoli della coppia: Giada, 14 anni, e Cristiano di 12. Poco dopo le ore 8 del mattino, qualcuno bussa alla porta. Fiorella, che è indaffarata con le faccende domestiche, non vuole rispondere. Ma lo sconosciuto è insistente, suona e risuona al campanello. Allora la 39enne decide di aprire: si trova davanti un giovane che si presenta come un allievo del marito e chiede di poter prendere in prestito un libro. Nel frattempo Cristiano esce dalla sua stanza. Lo sconosciuto sembra sorpreso: "E lui chi è?", dice. Poi estrae un coltello dalla giacca e si accanisce sul bimbo con dieci fendenti. Subito dopo si scaglia contro Fiorella e Giada che, per fortuna, si salvano. Per il piccolo di casa, invece, non c'è nulla da fare.

L'identikit del killer

Il giorno successivo, l'omicidio finisce su tutti i giornali. Le indagini vengono affidate alla squadra mobile di Roma, all'epoca guidata da Rino Monaco. L'inchiesta ruota attorno all'identikit del killer fornito da Fiorella: "Un ragazzo sui 18-20 anni. Era alto, molto magro, di una magrezza innaturale. Di un colorito livido, un pallido che andava nel livido. Occhi neri, capelli nerissimi, mi sembra tagliati a spazzola. E occhiali cerchiati di scuro, ma non occhialetti alla Cavour, come erroneamente riportato da qualche giornale. Occhiali normali, grandi, però cerchiati di scuro". La donna è convinta che si tratti di uno sconosciuto. Poi però, intevenendo al programma "Telefono Giallo" di Corrado Augias, afferma che il killer conosceva la sua abitudine di pregare davanti al quadro della defunta madre. Decisamente strano.

"Ci sono elementi per riaprire le indagini"

Maurizio Barca, ex poliziotto della squadra mobile capitolina, spiega che all'epoca "i dirigenti della Mobile hanno puntato subito su uno studente che si voleva vendicare. Ricordo che abbiamo interrogato tantissimi giovani". Secondo Barca ci sono diversi elementi da cui partire per poter riaprire il caso. "Questo ragazzo di cui è stato fatto l’identikit - illustra a Repubblica riferendosi al misterioso killer -sarebbe fuggito indisturbato in una mattina di un giorno feriale, senza essere visto da nessuno. Perché abbiamo chiesto ai residenti, ai negozianti vicini. Niente. Ed è molto strano. Anche perché avrebbe dovuto essere completamente sporco di sangue, oltre a portare un impermeabile nero che avrebbe dato nell’occhio".

E poi c'è una frase che Valerio Aprile pronunciò mentre era in auto con lui e un suo collega: "Ho una buona memoria e quelle parole mi fecero drizzare le antenne. Il professore disse: 'Povero Cristiano, mi dispiace che ci sia andato di mezzo lui che non c’entrava nulla'. Subito ne parlai ai miei superiori che però minimizzarono". Cosa intendeva dire il papà del piccolo Cristiano? Barca, che oggi è un avvocato, sta provando a fare luce sull'intricato cold case assieme a due blogger esperti di "delitti a pista fredda", Riccardo Delfino e Igor Lampugnani.

"Siamo sicuri al 100% che il killer sia uscito da quel palazzo? E perché non sono stati fatti maggiori approfondimenti sulla famiglia e su presunte questioni familiari?", s'interroga l'ex poliziotto. Domande che, a 37 anni dal delitto, restano ancora senza una risposta.

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