Quella luce nel cuore del mostro

In un libro il percorso di pentimento di Giovanni Brusca, ex "soldato di un altro Stato"

Quella luce nel cuore del mostro
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Cosa si prova a confessare Caino senza dimenticare il dolore per Abele? Don Marcello Cozzi è un pastore a cui il Vaticano ha chiesto di scomunicare le mafie eppure è così un geloso guardiano del gregge da inseguire le pecorelle smarrite, anche quella nera come l'abisso che porta un uomo a sciogliere un bimbo nell'acido. Uno così è Giovanni Brusca, killer di Giovanni Falcone, «soldato di un altro Stato» che obbedisce all'ordine peggiore, oltraggiare il corpo del piccolo Giuseppe Di Matteo perché «s'avi a fari ca s'avi a fari!», si deve fare ciò che si deve fare. Del libro dell'Editrice San Paolo si parla oggi a Palermo con l'ex pm Vittorio Teresi e il mafiologo di Repubblica Salvo Palazzolo, la morte del bambino è «l'immane ruggito di tutti i ricordi» dolorosamente rivissuto, fino al macabro souvenir di un pezzo di corda ritrovato in fondo al bidone: «L'acido niente ci fa, tienitela per trofeo».

L'anatema criminale di Brusca, l'onnipotente diventato mostro, è stranota. Molto meno il suo rapporto sofferto con il padre Bernardo, classe 1929 e capo mandamento di San Giuseppe Jato. O le ragioni del pentimento, sublimate dall'incontro con Rita Borsellino nel 2008 e che oggi valgono al peggiore assassino di Cosa nostra una libertà che prima di leggere le quasi 200 pagine del libro suona immeritata, stonata. E se in don Marcello l'umanità prevale sul «sacrale potere assolutorio» che porta con sé, nei tormenti di Brusca, che paiono sinceri, emergono i sentimenti ricacciati per anni da chi si crede una bestia, si avverte lo smarrimento di un ragazzino cresciuto a «latte e Cosa Nostra», cacciato dal suo mondo «ramingo e fuggiasco sulla Terra» come Caino, segnato anche lui dal Signore perché nessuno lo tocchi, ci abbaglia la scintilla di dolore per aver strappato la vita all'innocente pastore Vincenzo Mulè («Se capiti da quelle parti, gli porti un fiore sulla tomba da parte mia?»), esplode la rabbia per il suo epitaffio virtuale «scolpito su una lastra di marmo» con su la frase «Sarebbe cosa da ammazzarlo a Brusca, a questo cavallo pazzo», vomitata a Salvatore Cancemi da Totò Riina, che Brusca credeva fosse dio e invece....

Al pentimento Brusca ci è arrivato grazie all'intelligenza di un pm come Alfonso Sabella, che è riuscito a distinguere il confine fra giustizia e vendetta, («dobbiamo privarli della libertà, non della dignità», ama dire il capo della Polizia Vittorio Pisani). Anche gli stragisti hanno dei sentimenti, lo pensa pure il pm che fece incontrare Brusca e il papà. Una scena che ricorda Enea che rincorre inutilmente nell'Ade l'abbraccio del padre Anchise («tre volte all'inutile stretta l'ombra svanì fra le mani»). Cosa sarebbe successo a Brusca se non fosse stato respinto ancora bambino dalla parrocchia e dalla scuola? Se lo chiedono entrambi, rievocando la profezia di Gesualdo Bufalino, «la mafia sarà vinta da un esercito di maestri elementari». Lo pensava anche Ciccio Panzera, ucciso a Locri dalla 'ndrangheta nel 1982 perché parlava troppo coi suoi ragazzi, in ossequio al testamento di Don Milani, che scriveva «ho voluto bene più a voi che a Dio».

Nessun maestro lo ha fatto con Brusca, finché don Marcello ha visto nei suoi occhi due lampi di umanità, gli stessi che Gaspare Spatuzza e Giuseppe Quadrano scorsero negli occhi di don Pino Puglisi e don Peppe Diana mentre gli puntavano le pistola in faccia. Parlare col Male sconfiggerà la mafia più che gettar fiori sulle bare, con le lacrime agli occhi e la bocca chiusa.

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