Il nome del killer di Mattarella? Era nelle carte 30 anni fa

Chi ha voluto tenere in piedi la pista investigativa su mafia e pista nera? Le convergenze sui depistaggi legati a Bologna

Piersanti Mattarella
Piersanti Mattarella

Chi ha ucciso Piersanti Mattarella sotto casa sua, in via Libertà a Palermo, il 6 gennaio di quarantacinque anni fa? E soprattutto, perché? Mentre l’inchiesta sui killer ha trovato un filone investigativo che circoscrive a Cosa Nostra la responsabilità del delitto, c’è un docufilm che andrà in onda stasera su La7 che invece rilancia l’idea che l’allora presidente democristiano della Regione Sicilia, fratello dell’attuale capo dello Stato Sergio, ritratto in una drammatica foto mentre cercava di soccorrere il fratello appena colpito, sia stato ucciso sulla scorta della morte di Aldo Moro (di cui sarebbe stato l’erede politico) perché avrebbe voluto aprire al Pci, con il solito contorno delle possibili connivenze tra mafia, politica e poteri occulti e un tocco di eversione nera. Un’ipotesi già smentita dalle risultanze delle inchieste che ruota intorno al riconoscimento della moglie di Mattarella Imma Chiazzese, presente all’agguato assieme alla figlia Maria (morta recentemente) che avrebbe individuato nel terrorista nero Giusva Fioravanti l’uomo dallo «sguardo di ghiaccio» che aveva premuto il grilletto. Eppure che l’ipotesi che il delitto fosse stato eseguito da due killer di mafia, secondo la deposizione di un pentito, era già contenuta nelle carte ma è stata colpevolmente sottovalutata fino a oggi.

Il docufilm di Giorgia Furlan si intitola Magma. Mattarella, il delitto perfetto, è prodotto da Mauro Parissone per 42° Parallelo, Antonio Campo dell’Orto e Ferruccio De Bortoli e verrà trasmesso nel corso della trasmissione condotta da Corrado Augias. La ricostruzione del docufilm rilancia la pista dei mandanti occulti dell’omicidio attraverso varie testimonianze come quelle del giornalista Attilio Bolzoni, del sociologo Pino Arlacchi, degli ex presidenti della commissione antimafia, Rosy Bindi e Luciano Violante. Un film che la Rai ha deciso di non comprare, suscitando le ire del consigliere Rai Roberto Natale, secondo cui «si consolida in una parte dell’opinione pubblica la sensazione che “in questa Rai” alcuni temi ed alcune voci non possano trovare spazio».

«In Sicilia Mattarella aveva portato a termine l’operazione morotea, varando una giunta con l’appoggio esterno del Pci. Siamo alla vigilia del congresso Dc in cui Donat Cattin porta alla rottura con i comunisti. Ci fosse stato Mattarella in vita, questa svolta non ci sarebbe stata», dice l’ex presidente della commissione Antimafia Rosi Bindi, che punta il dito contro «i soliti nemici dell’accordo Dc-Pci, palesi e occulti: la mafia, il terrorismo, i servizi segreti deviati, la massoneria deviata e il neofascismo stragista». Ma è davvero questa la verità? Nelle scorse settimane la Procura di Palermo avrebbe individuato in due sicari mafiosi gli autori materiali del massacro: Antonino Madonia che ha 72 anni e all’epoca ne aveva 28 e Giuseppe Lucchese, detto Lucchiseddu, 67 anni, che all’epoca ne aveva 22, entrambi già all’ergastolo e già considerati autori di altre stragi di mafia, come quella di via Isidoro Carini in cui vennero uccisi il generale Carlo Alberto dalla Chiesa, la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente di scorta Domenico Russo.

Il primo avrebbe sparato al politico, dopo i primi colpi sarebbe andato verso l’auto dov’era il complice a prendere un’altra pistola con cui avrebbe sparato nuovamente, mentre il secondo - detto Lucchiseddu - sarebbe stato alla guida della Fiat 127 del commando, rubata il giorno prima, poi ritrovata abbandonata non lontana dal luogo del delitto. Nino Madonia (accusato anche dell’omicidio del poliziotto Nino Agostino, il poliziotto scelto in una sorta di struttura segreta per la cattura dei latitanti che salvò la vita a Giovanni Falcone facendo fallire l’attentato alla sua villa all’Addaura (link) era il figlio del potentissimo boss mafioso Ciccio - già condannato quale mandante dell'omicidio di Mattarella - a capo del mandamento San Lorenzo-Resuttana che di fatto controllava mezza città. Nino venne beccato in un palazzo in via D’Amelio, di fronte quello dove abitava la madre di Paolo Borsellino dove il 19 luglio 1992 perse la vita il magistrato, con il libro mastro delle estorsioni da cui gli investigatori tracciarono una mappa di insospettabili che pagavano il pizzo al clan.

Il fratello Giuseppe è considerato il killer del capitano dei carabinieri Emanuele Basile, l’altro fratello Salvo avrebbe ammazzato Libero Grassi. Lucchese, arrestato nell’aprile 1990 dopo 9 anni di latitanza in una casa alla periferia di Palermo, era il capo della famiglia di Ciaculli e uno dei protagonisti del gruppo di fuoco dei Corleonesi degli anni Ottanta, considerato responsabile della morte di decine di persone tra cui la sorella, la madre e la zia di Francesco Marino Mannoia dopo la notizia del pentimento di quest’ultimo. Tanto che dopo l’arresto Giovanni Falcone disse: «È l’operazione più importante dopo la cattura di Michele Greco. Sotto un certo profilo anche più significativa».

Insomma, i due hanno il curriculum perfetto per questo omicidio eccellente. Il processo per la morte di Mattarella è stato inserito tra i delitti politici di Palermo insieme a quelli del segretario provinciale della Dc Michele Reina e del segretario regionale del partito comunista Pio La Torre, un filone volutamente escluso dal maxiprocesso alla cupola Cosa Nostra istruito da Giovanni Falcone. Tra i boss mafiosi considerati tra i mandanti e condannati all’ergastolo - Totò Riina, Michele Greco, Bernardo Brusca, Bernardo Provenzano, Pippo Calò, Francesco Madonia e Nenè Geraci - non c’è l’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, condannato a 8 anni per mafia e corruzione, morto nel 2002, considerato però sostenitore di quell’omicidio. «Ciancimino è nelle mani dei corleonesi», disse il pentito Tommaso Buscetta, circostanza confermata da due ex sindaci Elda Pucci e Giuseppe Insalaco alla commissione Antimafia quando si accorsero di quanto fosse difficile amministrare a causa dell’interesse di Ciancimino sugli appalti pubblici. L’anno dopo la villa di Pucci saltò in aria e Insalaco venne assassinato. Bisognerebbe ricordare che il dossier mafia-appalti sulla pericolosa convergenza tra Cosa Nostra, gli imprenditori del Nord e le coop rosse, scritto dai Ros guidati da Mario Mori - sulla cui frettolosa archiviazione la Procura di Caltanissetta ha aperto un’inchiesta, che ha coinvolto gli ex magistrati Gioacchino Natoli e Giuseppe Pignatone - aveva suscitato l’interesse di Falcone e Borsellino, che ci aveva lavorato il giorno prima di morire (link), come rivelano dei documenti desecretati l’anno scorso dalla commissione Antimafia guidata da Chiara Colosimo.

Di Madonia come killer di Mattarella aveva già parlato diversi anni fa il collaboratore di giustizia Francesco di Carlo, che nelle sue deposizioni aveva insistito sulla matrice squisitamente mafiosa dietro l’omicidio. A Madonia e Lucchese la procura palermitana è arrivata riesaminando con attenzione i reperti giornalistici dell’epoca scoprendo anche la fotografia che ritrae un’automobile considerata di grande interesse investigativo. Ma già nella sentenza di condanna della cupola di Cosa Nostra per i tre omicidi «politici» era emerso il nome di Madonia come killer. Di Carlo durante il dibattimento rivelò di avere appreso da Bernardo Brusca (padre di Giovanni Brusca, autore della strage di Capaci e dell’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, oggi pentito e a piede libero (link) che il killer di Mattarella era Nino Madonia, storico killer di mafia e forte della «competenza territoriale in un delitto così ghiotto».

Ed è lo stesso Di Carlo ad aver già sciolto il giallo della foto di Fioravanti riconosciuta dalla moglie di Mattarella, convincendo i giudici della Corte d’assise di appello nel 1998 ad assolvere Fioravanti e l’ex Nar Gilberto Cavallini, oggi coinvolto nella strage di Bologna: Madonia e Fioravanti erano particolarmente somiglianti, come emerse dal confronto in aula delle fotografie dei due soggetti e delle schede antropometriche acquisite agli atti del processo: tratti somatici molto simili, colore degli occhi, taglio e colore dei capelli, tratti complessivi del viso e perfino una stessa fascia anagrafica.

Dunque, a distanza di 45 anni, perché riaccendere una pista eversiva archiviata quasi 30 anni fa, proprio quando la pista che porta a due storici e spietati killer di mafia appare la più percorribile? Perché tornare ad avvelenare coi soliti fantasmi una vicenda così complessa? Proprio per la strage di Bologna la Cassazione di recente ha confermato la responsabilità di Cavallini e Fioravanti. Secondo i legali dell'ex Nar ci sono prove che possono sovvertire la matrice neofascista individuata dalle sentenze più recenti. Per esempio c'è un carteggio che copre il periodo luglio-settembre 1980 e riguarda «il post-Ustica, i missili Strela, il 2 agosto e la morte dei giornalisti Italo Toni e Graziella De Palo», dicono.

Come è emerso nel corso di questi anni, si sa della presenza sul luogo della strage di un terrorista tedesco «esperto di esplosivi e senza un alibi credibile», ricorda il deputato Fdi Federico Mollicone, legato al gruppo del terrorista venezuelano Ilich Ramirez Sanchez detto Carlos. Il giallo su cui ruota tutto il mistero è la scomparsa del corpo di una delle vittime, la giovane mamma di Montespertoli Maria Fresu. Mentre è ancora senza identità il cadavere della giovane donna a cui l'esplosione dell'ordigno strappò un lembo di volto.

È possibile che, proprio per depistare le indagini, qualcuno fece sparire il corpo della Fresu, convinto fosse quello dell'attentatrice. La difesa di Cavallini chiese di interrogare Carlos e di procedere con un'integrazione della perizia genetica sui resti trovati nella tomba di Maria Fresu, ma il tribunale si oppose.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica