“Quella soluzione poco convincente nel delitto di via Veneto: io, bimbo nel cuore della Dolce Vita”

"Dolce vita, dolce morte" è un libro di Giancarlo De Cataldo, in cui viene romanzata la vicenda del delitto di via Veneto, in cui trovò la morte Christa Wanninger, avvenuto 60 anni fa

“Quella soluzione poco convincente nel delitto di via Veneto: io, bimbo nel cuore della Dolce Vita”

Nel 1963 Christa Wanninger, una giovane tedesca arrivata in Italia inseguendo il sogno di far parte del mondo dello spettacolo, venne uccisa mentre cercava di arrangiarsi e sbarcare il lunario. Saltava i pasti, dormiva su un letto di fortuna in una pensione, frequentava degli uomini (forse anche qualche notabile), fino a che 7 coltellate vibrate da un estraneo posero fine alla sua esistenza.

Sembra quasi la trama di un film uscito due anni più tardi, Io la conoscevo bene di Antonio Pietrangeli, in cui Stefania Sandrelli interpreta un’aspirante starlette che viene sfruttata dagli uomini a scopi sessuali, mentre cerca di sfondare nel cinema. Con la differenza che il personaggio di Adriana, impersonato da Sandrelli, muore suicida.

Io la conoscevo bene viene citato indirettamente in un dialogo nel romanzo di Giancarlo De Cataldo, Dolce vita, dolce morte, che prende spunto, sebbene con tante differenze, proprio dall’omicidio di Wanninger. Un caso che tra l’altro l’autore conosceva, perché accluso in un volume del giornalista Enzo Rava, del quale De Cataldo curò la prefazione per la ristampa in passato.

Ho scelto di raccontare questa vicenda per un motivo assolutamente personale. - racconta De Cataldo a IlGiornale.it - Quella che descrivo è la Roma che io ho visto per la prima volta partendo dalla Puglia. Mio cugino abitava a piazza Navona e mi portava in giro con la Mg rossa - avevo 8 anni e all’epoca si poteva andare dappertutto a Roma con quella macchina. La sera i genitori e gli zii andavano a ballare, sentivo parlare di via Veneto, della ‘dolce vita’. Più tardi sono cresciuto, ho visto il film, letto libri, sono andato a vivere a Roma. Però il modo in cui vidi la città da bambino mi è rimasto dentro”.

La storia vera dietro il romanzo

Dolce vita, dolce morte, come detto, è ispirato a una vicenda reale, l’omicidio di Christa Wanninger avvenuto il 2 maggio 1963 a Roma, in via Veneto (o meglio in un palazzo di via Emilia con un ingresso posteriore su via Veneto), nel cuore di quella che Federico Fellini aveva raccontato come “La Dolce Vita”, forse ispirandosi al bagno notturno alla Barcaccia di cui furono “attrici” la pittrice Novella Parigini e la scrittrice Giò Stajano alla fine degli anni ’50, e quindi alla vita degli intellettuali e delle persone di spettacolo che gravitavano nella Capitale.

Perché la protagonista del romanzo, come Wanninger, è un’attrice. La giovane Christa aveva 23 anni quando fu uccisa: era giunta a Roma in cerca di fortuna da Monaco di Baviera in quegli anni spumeggianti, ed era stata accoltellata sul pianerottolo di casa di una sua amica connazionale. Il giorno dell’omicidio era infatti attesa da Gerda Hodapp, che però non riuscì a incontrare: un uomo elegante, poi riconosciuto in Guido Pierri, pittore aversano, accoltellò Wanninger.

Questo delitto - chiosa De Cataldo - presenta delle caratteristiche che ricorrono nei grandi delitti italiani. Per esempio il fatto che da subito si sospettò uno scenario, un intrigo: si aprirono varie piste, si parlò di spie, si parlò di frequentazioni importanti che non dovevano essere rivelate, addirittura Il Tempo lanciò un concorso a premi, stimolando i lettori a fornire la soluzione del caso, una cosa impensabile adesso. Ci fu la telefonata, l’anno dopo il delitto, del misterioso sedicente fratello dell’assassino. Insomma ci sono una serie di elementi che si trascinano nel corso del tempo, soprattutto il fascino dell’epoca della dolce vita”.

Dopo un processo lunghissimo e vicissitudini giudiziarie che si trascinarono nel tempo, Pierri fu condannato in Cassazione nel 1988, ma non fece un giorno di carcere poiché ritenuto all’epoca infermo di mente, oltre al fatto che intanto aveva cambiato vita, abbandonando abitudini da stalker e aspirante omicida che descriveva nei suoi diari. Nel libro questo tempo della giustizia è scandito dalle storie dei protagonisti della narrazione. “Se io avessi immaginato una sceneggiatura - dice l’autore - frantumandola in questi periodi di tempo, non mi sarebbe venuta così bene com’è accaduto nella realtà. Questo ritmo temporale ti consente di raccontare pezzi diversi di Italia, che era quello che volevo fare attraverso il caso giudiziario”.

I diari e una poesia scritta da Pierri all’ora presunta dell’omicidio sono citati nel romanzo. “Poesia e diari non furono mai salvati - aggiunge De Cataldo - ne esistono solo fotocopie, che furono allegate alla prima inchiesta e poi ritrovate nel fascicolo processuale”.

La trama del romanzo

Marcello Montecchi è un cronista di spettacoli, che un giorno, mentre è “di corta” e alle prese con una sbronza colossale, viene contattato dalla sua redazione per un “pezzo di colore”: deve scrivere dell’omicidio di un’aspirante attrice, una che si diceva avesse girato anche un porno, Greta Muller. Ma in realtà Montecchi aveva stretto, tempo prima, una relazione con Greta, per cui trovare l’assassino diventa per lui non solo una questione di lavoro.

A un certo punto - chiarisce l’autore - il romanzo lascia la storia vera e diventa la cronaca di Marcello e del suo crescere, invecchiare, conoscere nuovi tipi di donne. E, mentre nella realtà la soluzione c’è stata, io ne resto poco convinto così come accade al protagonista del libro”.

Perché leggere Dolce vita, dolce morte

De Cataldo è ex magistrato e scrittore, oltre che sceneggiatore cinematografico e autore televisivo: è probabilmente questa la forza della sua scrittura, da un lato la conoscenza della legge e della giustizia, dall’altro la capacità di narrare storie che sono realmente accadute ma con particolari talmente inediti da invogliare il lettore a proseguire. E ci si affeziona ai suoi personaggi, in particolare a quelli che hanno trovato raffigurazioni sullo schermo, come per i libri Romanzo criminale e Suburra - quest’ultimo scritto con Carlo Bonini - o per il teatro come lo splendido Acido fenico.

C’è però un personaggio nelle storie di De Cataldo - e c’è anche in Dolce vita, dolce morte - che è rappresentato dalla città di Roma. La Capitale vive e respira, non è solo teatro, come in questo caso, di una società che si stava evolvendo, in cui cultura e spettacolo si esprimevano in un’esistenza che imitava l’arte e viceversa. In cui la Dolce vita è ben più complessa e forse più spaventosa della giostra felliniana. E in cui si può quasi leggere con un accento anglofono la parola “Marcello” (il nome, appunto, del protagonista del romanzo), ammiccamento all’Anitona spumeggiante nell’acqua della Fontana di Trevi.

Anche se poi, per certi versi, la storia personale di Christa Wanninger, tedesca che giunge in Italia negli anni ’60 in cerca di fortuna, ricorda un po’ quella di Terry Broome, modella tedesca che negli anni ’80 inseguì la fama nella moda a Milano, come viene raccontato in un episodio di Cronache criminali, programma di De Cataldo in Rai. Naturalmente con un epilogo differente: la prima muore, la seconda uccide.

Erano due mondi diversi: la Roma degli anni ’60 era un po’ il centro del mondo dello spettacolo. Il giorno dopo l’omicidio di Wanninger a Roma si tiene un party, una grande festa che racconto nel libro, di un produttore americano al lavoro sul film L’ape regina di Marco Ferreri, pellicola che poi va a Cannes in pompa magna. C’era un fascino, un glamour, c’era l’arte, la moda, la gastronomia ma c’era anche una grande industria del cinema in Italia: via Veneto e Cinecittà erano mete ambite per tutti quanti. A Milano invece negli anni ’80 ci fu questo grande risveglio della moda italiana. Però entrambe le ragazze, sia Christa che Terry sono vittime del loro contesto, solo che Terry Broome è una vittima armata, è una che prende la pistola e spara”.

De Cataldo in Dolce vita, dolce morte racconta una storia nera forse oggi meno nota di altre. Ma non meno importante. Quello di Christa Wanninger fu un femminicidio, prima che questo termine entrasse nell’uso comune.

E la storia del personaggio di Greta Muller racconta una vicenda dominata dagli uomini, in cui sono gli uomini, come pure accade nel film di Pietrangeli, a decidere fortuna e sfortuna, o addirittura vita e morte, delle donne.

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