Sparatoria a Milano. Pagherò io i legali del poliziotto

La scorsa settimana la città di Milano è stata scossa, nel giro di ventiquattro ore, da due episodi di cronaca analoghi che non possiamo permetterci di sottovalutare

Sparatoria a Milano. Pagherò io i legali del poliziotto

Direttore Feltri, ma è possibile che un poliziotto che compie solo il suo dovere in situazioni di rischio se mette mano alle armi per difendersi sia poi costretto a pagarsi anche gli avvocati? I cittadini per bene non riescono a spiegarselo. Grazie
Lettera firmata

La scorsa settimana la città di Milano è stata scossa, nel giro di ventiquattro ore, da due episodi di cronaca analoghi che non possiamo permetterci di sottovalutare. I punti di contatto tra le due vicende sono parecchi: in entrambi i casi il luogo in cui si sono verificati i fatti è una stazione ferroviaria, precisamente quella di Lambrate e quella Centrale; i protagonisti sono sempre poliziotti, da un lato, e clandestini, dall'altro. Quantunque tale termine, ossia «clandestino», sia stato proibito persino dall'Ordine dei giornalisti oltre che messo al bando dal politicamente corretto che imperversa in ogni ambiente e in ogni ambito, io trovo che sia calzante e anche utile, poiché serve a sottolineare la condizione di illegalità in cui campano migliaia e migliaia di cittadini extracomunitari sul nostro territorio, costituendo una minaccia per l'ordine e la sicurezza pubblici.

Nella prima cronaca, registratasi nella notte del 9 maggio scorso, la vittima è un poliziotto, il vice ispettore Christian Di Martino, 35 anni, trafitto con un coltello lungo trenta centimetri e dalla lama di venti per ben tre volte alla schiena da un marocchino irregolare di 37 anni, già noto alle forze dell'ordine, il quale si dilettava a tirare sassi contro i passanti e i vagoni dei treni e se ne andava a zonzo armato e ubriaco.

Christian si è risvegliato dal coma da pochissimo ed è fortunatamente fuori pericolo, ma vorrei ricordare che egli ha subito settanta trasfusioni e ha avuto diversi attacchi cardiaci. Insomma, il valoroso giovane ha lottato tra la vita e la morte.

Nella seconda, invece, avvenuta la notte seguente, presso la stazione Centrale, un poliziotto della Polfer, intervenuto insieme ai colleghi per fermare un egiziano trentaseienne richiedente asilo che, ubriaco e drogato, lanciava sassi e pezzi di marmo, divelti da lui stesso danneggiando per di più gli spazi pubblici, con una fionda rudimentale sugli agenti e sui passanti ed era incontenibile (tanto che nemmeno si è potuto renderlo inoffensivo con il taser che gli ha fatto il solletico), ha adoperato la pistola d'ordinanza, sparando un colpo che ha ferito il delinquente alla spalla sinistra. L'immigrato, il quale non si capisce perché abbia avanzato una richiesta di asilo dato che l'Egitto non è in guerra, quindi non mi si dica che scappa da qualche conflitto, era appena uscito dagli uffici della polizia ferroviaria dove era stato denunciato per rapina e resistenza a pubblico ufficiale. Un soggetto evidentemente pericoloso, in preda a un delirio di violenza, che avrebbe benissimo potuto essere armato di coltello, proprio come il marocchino che la sera precedente aveva quasi ammazzato Christian, che non era riuscito a fermarlo usando il taser.

Adesso questo agente, il quale non ha fatto altro che compiere il suo dovere, ovvero quello di garantire la sicurezza dei cittadini, e che non può essere ritenuto reo di essersi difeso, di avere difeso i colleghi, già aggrediti dall'immigrato, e la gente presente in una piazza, quella antistante la stazione centrale di Milano, sempre molto frequentata, è indagato per lesioni dolose aggravate, anche se la procura ha già ipotizzato le scriminanti della legittima difesa e dell'uso legittimo delle armi, due cause giustificative che saranno valutate dagli inquirenti.

Insomma, mentre l'egiziano ferito è libero, pure libero di delinquere ancora, cosa che farà senza ombra di dubbio, l'agente colpevole di essere un bravo agente è sotto inchiesta e dovrà pagare di tasca sua i costi delle spese legali nonché affrontare lo stress che questo iter giudiziario comporta.

Mi impressiona alquanto che un poliziotto subisca questo trattamento, che debba valutare, in una situazione di rischio concreto, se sia meglio farsi ammazzare o se sia opportuno salvaguardarsi andando incontro poi a indagini e procedimenti onerosi. Se pretendiamo che non utilizzino le armi di cui pure sono dotati, diamo agli operatori della sicurezza pistole ad acqua, armi giocattolo, e mandiamoli sulle strade in pasto a criminali spietati che non si fanno scrupoli e che tengono coltelli e coltellacci legati alla cinghia.

Abbiamo un poliziotto che stava per perire assassinato e abbiamo un poliziotto che, poche ore dopo, avrebbe potuto fare la stessa fine ma che è stato forse più lesto del primo. Quest'ultimo è parimenti meritevole di essere apprezzato, lodato, quello che invece non merita è di essere perseguito e perseguitato da quello Stato che egli pur serve ponendo quotidianamente la sua stessa pelle in pericolo. E faccio presente che gli operatori della sicurezza sono gli unici lavoratori a dovere rispondere di quanto avviene sul posto di lavoro.

Affinché si intervenga per eliminare tale anomalia e per metterla in luce, ho deciso che sarò io a farmi carico delle spese legali in capo al poliziotto.

In uno Stato di diritto non è ammissibile che chi lavora nelle forze dell'ordine debba compiere tale scelta: o finire in terapia intensiva o finire alla sbarra, o farsi assassinare o farsi criminalizzare. Io a questo agente, proprio come a Christian, attribuirei una medaglia.

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