"Nessuno indaga ma io non mi fermerò. Vorrei solo che mio figlio mi telefonasse e dicesse: 'sono vivo'". Roberta Carassai non hai mai smesso di cercare suo figlio, Alessandro Venturelli, il 23enne scomparso da Sassuolo il 5 dicembre 2020. Quel giorno il ragazzo uscì di casa portando con sé alcuni effetti personali, tra cui un libro: "Il potere della mente", il titolo del volume. Da lì, il buio. I genitori non hanno mai perso la speranza di porterlo riabbracciare. "Viaggio da tre anni con la sua foto in borsa, ma lo Stato mi ha abbandonato" racconta la madre in un'intervista al quotidiano La Repubblica.
La forza di una mamma
Da circa 32mesi Roberta è in viaggio tra l'Italia e l'Europa alla ricerca del suo unico figlio. È stata a Genova, Padova, Treviso e persino in Olanda. Ora si trova a Napoli, in compagnia di un'amica che l'ha accompagnata nell'ennesimo "viaggio della speranza". Una speranza che si riaccende ogni qualvolta uno sconosciuto al telefono le dice di aver visto Alessandro da qualche parte. Il ragazzo è riconoscibile dal tatuaggio sul polso: un quadrifoglio e la data, in numeri romani, del giorno in cui si è risvegliato dal coma, dopo un terribile incidente in moto avuto a 15 anni e mezzo. L'ultima segnalazione è arrivata proprio dal capoluogo partenopeo, qualche giorno fa. Roberta non ci ha pensato su due volte e, come fa sempre, si è precipitata sul posto. Poi la domanda di rito: "Avete scattato una fotografia? Mi serve una prova. - chiede - Qui resto sempre male. Nessuno pensa a fare una foto. Nessuno mi dà la conferma che aspettavo".
Le segnalazioni
Sulla scorta dei presunti avvistamenti - alcune persone hanno detto di aver visto il giovane nel centro sociale "Mammut" di Secondigliano e poi in un bar del centro - si è precipitata in Questura. "Sono andata speranzosa - precisa la donna - perché quattro persone diverse, che non si conoscevano tra loro, mi hanno detto di aver visto quello che sembrava mio figlio con una ragazza". È stata anche alla stazione di piazza Garibaldi: "La Polfer mi ha detto di aver visto uno che somigliava ad Alessandro prendere un treno. Io ho chiesto di vedere i filmati delle telecamere, ma mi hanno detto che doveva essere la questura ad autorizzare". Un tunnel senza via d'uscita quello in cui finisce Roberta tutte le volte che imbocca una nuova strada: "Mi palleggiano da una parte all’altra. - dice - Ma non partirò finché non avrò risposta".
La battaglia
Da quando Alessandro è andato via di casa, la vita di Roberta non è più la stessa. Ha dovuto prendersi anche una pausa dal lavoro perché "dopo quello che è accaduto non avevo più la testa", puntualizza. Sono cambiate le priorità: "Tant’è che non riesco più ad avere un rapporto con tutti gli amici di prima. Non voglio sentire la quotidianità delle altre persone, sto troppo male. - continua - Mio marito e io facciamo solo cose utili a ritrovare Alessandro. Siamo uniti nel dolore, anche se lo viviamo in maniera diversa: lui non sta mai fermo, si dedica alla palestra, alla sua passione per il telescopio. Io invece mi impegno in prima persona al mille per mille, non ce la faccio a distrarmi da questo obiettivo. Ho bisogno di solitudine, di piangere e gridare". Più che un viaggio, quella di Roberta Carassai è una missione: "Non ce la faccio più, mi sento impotente: nella mia battaglia quotidiana avrei bisogno di persone competenti. - aggiunge - In questi anni mi sono accorta che per gli scomparsi nessuno fa niente: è una piaga sociale, c’è un buco normativo. Penso tante volte alla storia di Emanuela Orlandi, alla battaglia della sua famiglia e all’omertà e alla chiusura che si sono trovati di fronte, e mi vengono i brividi".
La speranza
Alessandro Venturelli era un perito tecnico ma sognava di viaggiare. Quando andò via di casa, il 5 dicembre 2020, sembrava provato. "Chiedeva protezione, non libertà. - ricorda la mamma - Sembrava depresso, aveva paura, mi diceva: 'Mi sento manipolato'". Lei e il marito sono convinti che il figlio sia stato manipolato da qualcuno, forse vittima di una setta. Motivo per cui Roberta si sposta sempre tenendo in borsa le foto dei tatuaggi di Alessandro: "Ho fatto diversi appelli. - dice - Sono passati 32 mesi e penso sempre: se non lo riconosco dal viso, posso farlo solo dai tatuaggi.
Ed è una cosa che mi fa una paura immensa". La speranza di poterlo riabbracciare è viva più che mai: "Vorrei solo che mio figlio mi telefonasse e mi di cesse: sono vivo. Gli risponderei: se hai bisogno di aiuto, io sono qua".
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