Il tesoro, gli omicidi, il mistero: il mostro di Bargagli (forse) mai esistito

Un inafferrabile assassino o delitti commessi da più persone senza alcun legame? Il mostro di Bargagli mieté 27 morti in quarant’anni, un giallo destinato a lasciare dubbi

Il tesoro, gli omicidi, il mistero: il mostro di Bargagli (forse) mai esistito

Ventisette morti nell’arco di quarant’anni tra strangolamenti, esecuzioni e suicidi sospetti. Una piccola località della Val Bisagno trasformata in una cittadina degli orrori, l’ombra di un inafferrabile serial killer. Un unico episodio scatenante: la speranza di un tesoro costituito da banconote, gioielli e oro trasportato da truppe naziste e repubblichine. Il mostro di Bargagli rientra nell’elenco degli assassini seriali forse mai esistiti, ma un’ombra di mistero persiste. Le indagini della magistratura non hanno portato risultati concreti, la storia è stata archiviata e le persone coinvolte sono tutte passate a miglior vita: nessuno potrà scrivere la parola fine a questo mito, nessuno pagherà mai per quel sangue versato.

La Banda dei vitelli

Tutto inizia nell’inverno del 1941. Genova è in ginocchio per la penuria di cibo e il mercato nero rappresenta un’opportunità per tante persone. Tempi prosperi per la Banda dei vitelli, un gruppetto di contrabbandieri che macella gli animali per venderne clandestinamente la carne. Non si sa granché sui metodi adoperati, ma alcune leggende sono da brivido: c’è chi sostiene che parte della carne venduta alla povera gente provenga dalle carcasse degli animali morti.

Le azioni del sodalizio criminale terminano a causa della retata organizzata da due carabinieri, Candido Cammereri e Carmine Scotti. Quasi tutti i componenti della Banda finiscono a processo, ma qualcosa cambia l’8 settembre del 1943: Pietro Badoglio proclama l’armistizio. Una larga fetta dell’Arma non aderisce alla Guardia armata della Repubblica di Salò, tra questi Cammereri e Scotti. Il primo muore in uno scontro a fuoco, mentre il secondo continua a fare il suo lavoro.

L’1 febbraio del 1945 il processo d’appello sospende il giudizio nei confronti della Banda dei vitelli. Il ritorno in libertà coincide con la voglia di vendetta: dopo due settimane, alcuni membri si presentano a casa di Scotti nelle vesti di partigiani e lo accusano di essere una spia al servizio dei nazifascisti. Il brigadiere viene torturato brutalmente e finito con un colpo di pistola alla nuca.

Il tesoro

A questo punto bisogna introdurre un altro elemento della storia del mostro di Barbagli: il tesoro. La serie di delitti dell’immediato dopoguerra sarebbe infatti legato alla sparizione di banconote, gioielli e oro sulle colline del genovese. Un carico di preziosi rubato mentre viene trasportato da truppe naziste e repubblichine in fuga da Genova il 25 aprile 1945, durante la liberazione. La teoria sul serial killer è semplice: i futuri omicidi saranno una conseguenza di questo furto, sia per proteggere il segreto dell’ubicazione della refurtiva, sia per eliminare gli unici testimoni.

La Banda dei vitelli è stata avvertita del passaggio del convoglio nazifascista. Giunti a Pannesi di Lumarzo, i mezzi sono costretti allo stop perché la strada è troppo stretta: la colonna abbandona le camionette e si divide lungo il bosco della Tecosa. Alcuni uomini trovano la morte in un agguato. Tornando ai contrabbandieri genovesi, loro riescono a mettere le mani sulle casse di denaro e se la filano immediatamente. “Denaro fuori corso”, la replica a chi chiede delucidazioni.

Il denaro trafugato è parecchio, fa gola a tanti. Ma la storia diventa più opaca, vengono meno i riferimenti, si dà spazio alle ipotesi. Solo nel 1945 vengono registrate otto morti sospette. Il 24 aprile quattro partigiani vengono ammazzati in una villetta nella frazione di Sant’Alberto, due giorni più tardi altre quattro persone muoiono nella piazza del paesino a causa dell’esplosione di una mina anticarro.

Il silenzio e il presunto mostro di Bargagli

Più di quindici anni di silenzio dopo tutto il sangue versato. Nessuna morte sospetta, nessun omicidio brutale, nessuna notizia sul tesoro nazifascista. Ma qualcosa cambia nel 1961: il 9 novembre viene rinvenuto il corpo senza vita di Federico Musso, ucciso a colpi di pistola. Dopo otto anni, nel 1969, viene uccisa a sprangate l’ex partigiana Maria Assunta Balletto. Nello stesso modo, nel 1971, viene ucciso Cesare Moresco, il campanaro della chiesa di Bargagli. E ancora, qualche mese più tardi, viene aggredita sempre a sprangate Maria Ricci: la donna riesce a salvarsi, ma non può dare un contributo alle indagini a causa di un’amnesia.

Le prime voci sul presunto mostro di Bargagli iniziano a circolare sempre più insistentemente, le morti nella piccola località ligure non si fermano. Nel 1972 viene ucciso a sprangate l’ex partigiano Gerolamo Canobbio, professione giardiniere. Due anni più tardi la stessa sorte tocca alla sua amante, Giulia Viacava. Le autorità accendono i riflettori su Francesco Pistone, ex carabiniere e amante della Viacava, ma mancano prove e l’inchiesta viene accantonata dopo tre interrogatori. Nel 1976 una fatalità mai chiarita, il suicidio di Pietro Cevasco: l'uomo - 54 anni, amante della Viacava e testimone contro Pistone - viene trovato impiccato. Nel 1978 invece ecco un nuovo omicidio: Carlo Spallarossa tramortito a sprangate in testa. Nel 1980, questa volta a fucilate, viene eliminato Carmelo Arena.

L'omicidio della baronessa e le indagini in fumo

Il 30 luglio del 1983 è la data dell’omicidio più chiacchierato della storia del mostro di Bargagli, quello della baronessa Anita de Magistris. Vedova di un ufficiale nazista morto durante la Seconda guerra mondiale, la donna è entrata a fare parte della comunità dopo tanta diffidenza, diventando persino direttrice del coro della chiesa di Santa Maria. La sua è una vita banale e tranquilla, ma il passato forse nasconde qualcosa. Di rientro a casa, la donna viene raggiunta da un violentissimo colpo di spranga in mezzo alla fronte: morirà dopo otto giorni di agonia all’ospedale San Martino.

Secondo quanto ricostruito, la baronessa quarant’anni prima aveva affidato alla colonna nazifascista una cassa con i suoi averi. Preziosi poi trafugati dalla Banda dei vitelli e finiti chissà dove. La sua esecuzione è legata a quei fatti? Aveva scoperto qualcosa sul suo assassino? Il sostituto procuratore Maria Rosaria D’Angelo apre una nuova inchiesta per omicidio e trova un legame con i delitti Scotti, Canobbio e Viacava. Il primo luglio 1984 viene arrestato il maresciallo Armando Grandi, che nel 1945 aveva scoperto la tomba di Scotti, ma nel mirino degli inquirenti ci sono numerose persone, compreso il già citato Francesco Pistone. A mettere la parola fine alla storia del mostro di Bargagli ci pensa l’indulto, che “salva” chi ha commesso crimini prima del 1953. Poco più tardi, il 20 marzo del 1985, Pistone si suicida. E a Bargagli non si registrano più assassinii.

Un mistero irrisolto

Il caso del mostro di Bargagli resta irrisolto e difficilmente la situazione cambierà. Come evidenziato dall’esperto Ruben De Luca, l’intervallo tra il primo e l’ultimo omicidio è talmente ampio che risulta difficile considerare un unico responsabile. Certamente alcuni omicidi sono stati commessi dalla stessa mano, ma è complicato incolpare un unico serial killer per tutte e 27 le uccisioni/morti considerate.

Secondo il dottor Ferdinando Cardinale, il medico del paese che ha firmato tutti i certificati di morte, a Bargagli ci sono stati al massimo tre o quattro omicidi, le altre morti sarebbero state la semplice conseguenza di incidenti.

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