Sciabola al vento contro i mitragliatori sovietici: è così che Giancarlo Cioffi ha impresso sulla storia il suo nome, insieme a quelli dei commilitoni che hanno dato vita all'ultima carica di cavalleria della storia. Quella che è passata nei libri come la carica di Isbuscenskij.
Nato a Milano nel 1921, c'era anche lui tra gli eroi che diedero vita a quella eroica e drammatica carica nella steppa russa, nel pieno della campagna di Russia. A quel tempo era sottufficiale di cavalleria: dopo, al ritorno dalla disfatta dell'Armir sul dorso del suo fedelissimo cavallo, Violetto, divenne architetto. La sciabola rimase riposta nella guaina, ma la sua figura no, diventata presto leggenda fra i reparti dell'esercito che ieri hanno accolto la notizia della sua morte, a 98 anni, con onore e rispetto, consapevoli che i simboli sono destinati a rimanere immortali.
Perché quella carica è stata veramente leggenda. Spada contro mitra, cavalli contro artiglieria, spade sguainate con il volto rivolto al sole e la consapevolezza di andare incontro a una morte praticamente certa. Eppure gli italiani dell'Armir non si fermarono: confermando il valore dei nostri uomini in una campagna disastrosa come quella di Russia. In quell'ultimo eroico assalto di cavalleria lui c'era. E c'era non solo nella carica col suono delle trombe che copriva le sventagliate dei mitra sovietici, ma anche dopo, quando il comandante fece scendere dalla sella i soldati rimasti per coprire i cavalieri ancora lanciati verso il nemico. Era una calda giornata delle afose estati sulle rive del Don. Il reggimento Savoia cavalleria, 700 uomini (fra cui oltre Cioffi, Alessandro Bettoni Cazzago, Giancarlo Conforti, Luigi Gianoli, Silvano Abba) erano fermi protetti dalla Voloire. All'alba, riprendendo la marcia, una pattuglia in avanscoperta si accorse che l'812esimo Reggimento siberiano li aveva circondati: era la fine. I russi iniziarono a sparare, poi, dopo una rapida riflessione da parte del comandante Bettoni Cazzago, appena sfiorato da un proiettile, la scelta, l'unica, quella disperata: carica. Il Secondo squadrone parte a sciabole sguainate e lanciando bombe a mano. Una scena rimasta immortale in una cartolina in bianco e nero che narra quella carica. Poi iniziano gli altri. Alle 9:40 del mattino, la battaglia era finita. Sul campo, rimasero 34 soldati italiani e cento cavalli, 150 le vittime fra i sovietici che dovettero anche ritirarsi.
Cioffi, come racconta Il Giorno, non ha mai fatto mistero di essere rimasto un sergente di cavalleria anche dopo, quando la guerra è finita. Anche nell'ultimo documentario su Isbuscenskij, il sergente amava raccontare la sua storia: "Indossai la prima uniforme da bambino nel 1928 e da allora non me la sono mai levata. Quando scoppiò la guerra pensai che anch' io dovevo fare ciò che potevo e quindi mi arruolai nel Quarto squadrone del Reggimento del Savoia cavalleria (ora incardinato nella Brigata paracadutisti Folgore ndr) che aveva sede a Milano".
Il colonnello Ermanno Lustrino, attuale comandante del Savoia, ha ricordato così il sergente Cioffi: "Siamo tristi per averlo perso, ma felici che Dio ce lo abbia conservato così a lungo: non ho mai conosciuto nessuno che con uno sguardo soltanto riuscisse a trasmettere tanta forza". E non poteva essere altrimenti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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