Danni inestimabili che spaventano non poco gli operatori del turismo per una crisi economica che tocca livelli preoccupanti e preannuncia già conseguenze devastanti. Sono questi gli effetti del lockdown deciso dal governo nazionale durante l’emergenza sanitaria per contenere i contagi da coronavirus. E mentre la fase 2 tarda ad arrivare, con non poche inquietudini in diversi settori economici lungo tutto lo stivale, gli operatori del turismo hanno iniziato a fare la conta dei danni su una stagione turistica che non solo potrebbe tardare a ripartire ma che, tra le altre cose, rischierebbe di sconoscere anche le modalità stessa della ripartenza, ammesso che ve ne siano.
Prima che la pandemia investisse anche l’Italia, il settore del turismo rappresentava il 15% del Pil nazionale con un volume d’affari di circa150 miliardi. Lo scorso anno, la nazione è stata invasa dai turisti con flussi che hanno garantito all’intero comparto entrate di notevole rilevanza. Oggi, alla luce di quanto accaduto negli ultimi due mesi, il settore turistico sta seriamente rischiando di rimanere al tappeto.
I rischi nel nord Italia
Una delle regioni che più potrebbe subire conseguenze dal crollo del comparto turistico, è il Veneto: qui l’indotto legato al settore ha un valore di 18 miliardi di euro di fatturato all’anno, una cifra considerevole dietro la quale si nascondono centinaia di piccole e medie aziende impegnate nel campo alberghiero e della ristorazione.
Il blocco dovuto alle misure anti coronavirus potrebbe aver già fatto perdere, tra i mesi di marzo ed aprile, qualcosa come tre o quattro miliardi di Euro. Ma, alla fine dell’emergenza, la portata del disastro potrebbe essere ancora più ampia: Fedelalberghi ha fatto presente come, sul finire del 2020, gli hotel e le aziende impegnate nel turismo potrebbero subire complessivamente un calo del 73% del fatturato. In Veneto, si potrebbero arrivare a perdere anche tredici miliardi di Euro, un’enormità su cui ad incombere è lo spettro di migliaia di posti di lavoro persi.
Nella sola Venezia, città già colpita a novembre da una delle piene più dannose della storia recente, almeno duemila lavoratori stagionali questa estate potrebbero trovarsi disoccupati. Per loro non scatterebbero ammortizzatori sociali, né possibilità di trovare altre tutele. Nell’intera regione, il costo sociale di una stagione turistica anche solo parzialmente compromesse potrebbe essere più grave del previsto.
Non andrebbe meglio in Romagna, zona dove in questo periodo dell’anno si inizierebbero ad aprire ed a sistemare strutture ricettive e stabilimenti. Tutto ovviamente tace, soprattutto nella provincia di Rimini: qui il coronavirus ha colpito duramente, con le strutture ospedaliere della zona messe in grande difficoltà e sotto pressione per via di uno dei focolai più estesi del nord Italia. Oggi gli alberghi sono vuoti ed oltre agli allarmi relativi alla crisi del comparto turistico ed alla possibile perdita dei posti di lavoro, ad aggiungersi sono le allerte su presunti episodi di sciacallaggio.
Così come si legge su IlSole24Ore, alcuni albergatori avrebbero ricevuto negli ultimi giorni richieste di acquisto approfittando del decadimento del valore di molte strutture per adesso chiuse: “Se vendi oggi ti diamo x milioni, se vendi tra un mese ti diamo due terzi, tra tre mesi la metà”, sarebbe una delle frasi rivolte a diversi operatori turistici negli ultimi giorni. A lanciare l’allarme su possibili operazioni attuate da veri e propri sciacalli, dietro cui si nasconderebbero anche interessi mafiosi, è stato lo stesso prefetto di Rimini, Alessandra Camporota: “La mafia sfrutterà il virus per infiltrarsi – ha affermato il prefetto riminese – le istituzioni sono all’erta e stanno seguendo con forte attenzione gli accessi al credito così come passaggi di proprietà sospetti di strutture alberghiere o commerciali”. Molti imprenditori, fiaccati e sfibrati dalla crisi legata al coronavirus ed impossibilitati a mandare avanti le proprie strutture, potrebbero cedere. Ed in tal modo, associazioni criminali e speculatori metterebbero il naso su buona parte della filiera turistica romagnola.
Le soluzioni proposte da alcune Regioni
Alcuni imprenditori, ma anche varie istituzioni locali, studiano e inventano modalità che possano consentire in qualche modo di fare turismo nei “limiti” del possibile per garantire la tutela dei “turisti regionali”. Già perché il nuovo decreto del presidente del consiglio, almeno per i prossimi quindici giorni vieta lo spostamento da una Regione all’altra in assenza di comprovate e valide motivazioni. Se più in avanti i movimenti dei cittadini dovessero rimanere circoscritti solamente nell’ambito del territorio regionale, il turismo avrà una portata limitata. Tra le soluzioni al vaglio in alcuni territori vi è quella del governatore della Puglia, Michele Emiliano. Quest’ultimo ad un’intervista rilasciata a Rai Radio 1 ha fatto sapere che, per non far perdere alla Regione la stagione estiva, pensa all’idea di far effettuare tamponi all'entrata delle strutture turistiche per tutelare tutti gli ospiti."Far saltare tutta la stagione - ha detto Emiliano - è un'alternativa terrificante perché significa perdere un miliardo di fatturato annuo e centinaia e centinaia di aziende. Mi auguro che il governo possa prorogare le concessioni balneari, abbiamo bisogno che le aziende balneari ci aiutino a fare controlli, a fare distanziamento e a gestire anche i tratti di spiaggia libera".
Analoga iniziativa si vuol adottare in Sardegna per salvare a tutti i costi il turismo con la proposta del "voucher tampone-Covid19". Si tratta di un'offerta scontata che comprende viaggio e permanenza nell'isola, più il tampone qualche giorno prima dell'imbarco, per una vacanza in totale sicurezza. Il turista dovrebbe quindi essere ricevuto in una struttura sanificata dove verrebbero rispettate le distanze di sicurezza.
Le difficoltà della Sicilia
Anche in terra di Trinacria la situazione non è delle migliori e si cercano soluzioni per consentire al turismo di poter prendere avvio seppur in forma limitata. Intanto un dato preoccupante che emerge è quello relativo ad alcuni centri nevralgici del turismo, nonché punti di forza dell’economia regionale. Tra questi la Valle dei Templi di Agrigento. Abbiamo raggiunto il direttore dell’Ente Parco, Roberto Sciarratta, che ci ha spiegato come il coronavirus abbia inciso negativamente sulle entrate: “Se lo scorso anno- ha affermato Sciarratta- abbiamo avuto un bilancio da sei milioni di euro, quello di quest’anno è pari a circa 350 mila euro”. Proprio il primo marzo, pochi giorni prima che venisse emesso il primo decreto firmato dal presidente del consiglio, la Valle dei Templi aveva registrato un boom di visite con 5000 biglietti staccati confermandosi uno dei siti maggiormente visitati in tutta la Regione. “Adesso -ci ha detto il direttore dell’Ente Parco- stiamo aspettando le direttive del governo nazionale, nel frattempo studiamo delle strategie che possono essere utilizzate per garantire le distanze di sicurezza tra i turisti e il personale che vi lavora. Stiamo valutando come evitare gli assembramenti all’ingresso della Valle ma anche tra i sentieri che i turisti visiteranno. Ma non solo-aggiunge Sciarratta- altra ipotesi è quella di attuare una sanificazione automatizzata per gli uffici e per le altre aree chiuse”.
E proprio Agrigento potrebbe rappresentare uno degli esempi di cosa possa voler dire, per tutto il nostro Paese, il venir meno della stagione turistica. Qui i dati economici da anni parlano di una situazione di affanno, la provincia è tra le ultime in Italia sotto diversi fronti ma sul turismo, soprattutto nell’ultimo lustro, si è iniziato a vedere un importante barlume di speranza. Grazie a questo settore, specialmente in estate si è potuto dare respiro ad un’economia che rischia di non avere altre alternative di sviluppo. Oggi il blocco derivante dalle misure anti coronavirus potrebbe cancellare tutto.
“Se realtà territoriali molto più salde della nostra gridano all’emergenza, nell’agrigentino la soglia si è già ampiamente superata ed il futuro appare gravemente compromesso – si legge in una lettera inviata al Prefetto di Agrigento dalle organizzazioni del settore – Infatti, dopo il consueto lungo inverno della bassa stagione, quest’anno le strutture turistiche hanno dovuto rinunciare ad una primavera che da sempre costituisce la prima indispensabile boccata di ossigeno”.
“Ci si chiede allora come sia possibile che nessuno più si ricordi che molte strutture saranno sicuramente destinate a chiudere i battenti – ha proseguito la missiva – ed a licenziare numerosi dipendenti con proprie famiglie a seguito”. A confermare la grave situazione di difficoltà, è il locale presidente della Confcommercio, Francesco Picarella: “Qui in tanti hanno già deciso di non riaprire le proprie strutture recettive – ha dichiarato raggiunto al termine di una delle tante riunioni svolte in videoconferenza negli ultimi giorni – Il fatto di andare incontro verso una vera e proprio desertificazione economica non è un rischio, ma una certezza. Purtroppo per molti non ci sono le condizioni per riaprire non appena sarà data la possibilità di alzare le saracinesche. La situazione è molto grave”.
Gli operatori non hanno gradito le scelte operate nell’ultimo decreto di Giuseppe Conte: “Ci aspettavamo ben altro – ha continuato Picarella – Si è scelto di far ripartire comparti che qui in Sicilia non sono ben radicati.
E questo nonostante la curva epidemiologica dalle nostre parti non ha mai raggiunto picchi elevati. Si poteva dare la possibilità qui di ripartire con la ristorazione e con la filiera turistica, invece così non è stato. In Sicilia non si morirà di virus, ma si morirà di fame”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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