Il Vmaq-2 era uno stormo dei Marines normalmente basato presso la Marine Air Station di Cherry Point, North Carolina. In quell'inverno del 1998 era schierato ad Aviano (Pn), dove era arrivato ad agosto dell'anno precedente per pattugliare i cieli della Bosnia con la missione “Deliberate Guard”. Lo stormo utilizzava i velivoli EA-6B “Prowler” per effettuare missioni di guerra elettronica (o Electronic Warfare in gergo militare). I primi giorni di febbraio di quell'anno rappresentavano gli ultimi del suo dispiegamento di sei mesi in Italia, e allo stormo furono assegnate alcune missioni di addestramento a bassa quota prima di tornare in Patria.
Il Prowler, lungo 18 metri con un'apertura alare di 16, è un aereo a quattro posti progettato per bloccare i radar e le comunicazioni nemiche e prevenire attacchi contro aerei da combattimento. A differenza dei caccia, l'EA-6B è un aereo subsonico relativamente lento, soprannominato “Sky Pig” dai suoi piloti, essendo derivato da un aereo da attacco ben noto che è stato la spina dorsale dell'Us Navy e dell'aviazione dei Marines per decenni: l'A-6 “Intruder”.
In quel 3 febbraio i destini dei 4 aviatori dei Marines si incroceranno, tragicamente, con quelli di 20 persone che erano giunte in un angolo particolare delle Dolomiti per godersi la neve e i suoi paesaggi mozzafiato: l'Alpe del Cermis.
Il volo di addestramento
Tutta la zona è costellata di impianti di risalita e durante la stagione invernale è molto frequentata dai turisti, non solo italiani. Quel giorno il tempo è sereno e si presenta perfetto per sciare e volare. Sulla base Usa di Aviano, l'EA-6B Prowler, nominativo di chiamata “Easy 01”, si appresta a decollare.
L'equipaggio è composto dal capitano Richard J. Ashby, dal navigatore, il capitano Joseph Schweitzer, e da altri due parigrado addetti ai sistemi di guerra elettronica: William Rancy e Chandler Seagraves. Il velivolo deve effettuare una missione a bassa quota di routine. Una missione senza storia, come tante altre effettuate nei cieli d'Europa.
Il piano di volo prevedeva il passaggio sopra Cortina d’ Ampezzo, l’attraversamento dell’Alto Adige, lo sconfinamento in Lombardia fino a Ponte di Legno, la discesa verso la pianura Padana, a Casalmaggiore. Quindi il ritorno a nord, passando per Castelnuovo veronese, il Lago di Garda, la risalita attraverso la Valle dei Laghi, lo sbocco nella valle dell’Adige per il passaggio in val di Cembra sino a Stramentizzo, dove l'aereo doveva puntare puntato verso la Marmolada e poi scendere in Veneto e far ritorno in Friuli.
La missione, come detto, deve essere effettuata a bassa quota: il limite viene fissato a mille piedi (300 metri) anche se una disposizione italiana dal 1997 vietava il volo sotto i 2mila piedi (600 metri) nel sorvolo del Trentino alto Adige. La velocità massima consentita è di 450 nodi (ottocento chilometri all'ora).
L'EA-6B decolla alle 14.35 da Aviano e quasi da subito il pilota non rispetta le limitazioni: risulta infatti che per lunghi tratti Ashby spinge il Prowler a una velocità di 540 nodi (mille chilometri all'ora) portandolo a una quota molto al di sotto non solo di quanto consentito dalle regole italiane (600 metri), ma anche di quanto previsto dal piano di volo (300 metri).
L'aereo sfreccia basso e veloce, zigzagando tra le valli alpine. Possiamo immaginare la sensazione di potenza mista all'adrenalina che pervade il pilota durante un volo simile. È innegabile che sia un sentimento comune a qualsiasi aviatore si trovi in quella stessa situazione: le montagne innevate, splendide nella loro maestosità, le valli strette, l'alta velocità. Un mix “adrenalinico”, come dicevamo, irresistibile, e la disciplina viene presto dimenticata. Una disciplina troppo spesso dimenticata, come vedremo. A un certo punto Ashby devia dalla rotta prestabilita per imboccare la Val di Fiemme: una decisione fatale.
Troppo veloce, troppo basso
L'EA-6B vola basso, troppo basso, quasi sfiorando le cime degli alberi. Alle 15.06 la torre di controllo di Aviano perde il contatto radio con il Prowler, che si trovava a volare sotto le vette che incorniciano le valli. Alle 15.13 il destino di 20 persone che stanno scendendo dall'Alpe del Cermis sulla funivia del comprensorio sciistico si incrocia, fatalmente e tragicamente, con quello dei 4 militari dell'aviazione dei Marines.
Il “Prowler” del capitano Ashby, che forse sciaguratamente sta cercando di passare sotto i cavi dell'impianto di risalita, o forse non si è accorto della loro presenza, li trancia di netto con l'ala destra nonostante il tentativo, inutile, di evitarli.
L'aereo in quel momento vola a una velocità di 540 miglia orarie (870 chilometri all'ora) e a una quota compresa tra 260 e 330 piedi (80 e 100 metri). La gialla cabina della funivia, con a bordo 20 persone, precipita per oltre 80 metri in un volo di sette interminabili secondi andando a schiantarsi sul fianco innevato della montagna. Nessuno di essi sopravvive. Alle 15.21, il Prowler emerge dall'ombra delle montagne e si ristabilisce il contatto radio. Un controllore del traffico aereo italiano ad Aviano sente dalla radio dell'equipaggio che l'aereo ha colpito qualcosa, probabilmente un cavo.
In aeroporto viene dichiarata l'emergenza come se si fosse trattato di un “bird strike”, ovvero quando gli aeromobili subiscono lievi danni dopo essersi scontrati con un uccello in volo o ne hanno risucchiato uno nei motori.
Alle 15.26 “Easy 01”, perdendo liquido idraulico, atterra ad Aviano. L'equipaggio evacua l'aereo così rapidamente che uno dei quattro si storta una caviglia saltando sull'asfalto. I meccanici della base riferiscono che il “Prowler” è stato seriamente danneggiato in quattro punti. Sul bordo anteriore dell'ala destra, che evidentemente aveva tagliato i cavi, si notano due squarci a diverse decine di centimetri di distanza, ciascuno profondo circa quindici centimetri. Anche la coda è rimasta gravemente danneggiata, probabilmente, come ritengono gli investigatori, quando il più pesante dei due cavi si è spezzato agendo come una frusta.
Frattanto, i soccorritori che giungono sul luogo del disastro non possono fare altro che estrarre dalle lamiere contorte della cabina i cadaveri di 7 turisti tedeschi, 5 belgi, 3 italiani (tra cui il manovratore), 2 polacchi, 2 austriaci e un olandese.
Si mette in moto la giustizia italiana
Quella sera sui telegiornali nazionali passano le immagini del disastro, e un fotogramma in particolare, quello di un cavo tranciato di netto, fa scattare la macchina della giustizia e quella della diplomazia.
Il presidente degli Stati Uniti Bill Clinton telefona a un Romano Prodi – allora a Palazzo Chigi – a dir poco furente. Clinton nei giorni successivi, sarà anche costretto, dai sentimenti antiamericani sollevatisi in Italia, a porgere pubbliche scuse.
Il procuratore della Repubblica di Trento Francantonio Granero parte alla volta di Aviano dalla Val di Fiemme, e insieme al sostituto Bruno Giardina ottiene dai militari americani di far visionare il “Prowler” alle autorità italiane. Gli inquirenti riescono a entrare nell’hangar, ma la scatola nera non c'è più: rispunterà qualche giorno dopo coi dati cancellati.
Un tentativo palese di depistaggio, effettuato anche dagli stessi piloti del velivolo, che avevano ripreso il volo incriminato con una cinepresa amatoriale fatta sparire all'atterraggio per sostituirne la cassetta con una “vergine”: quella su cui sono incise le immagini dell'incidente viene distrutta tre o quattro giorni dopo (presumibilmente intorno al 7 febbraio) dallo stesso capitano Schweitzer, che la getta in un falò quando si accorge che la situazione personale dei piloti si sta aggravando.
Più tardi, ad agosto, quando questa storia viene scoperta, Schweitzer, messo alle corde dalla testimonianza di Seagraves, ammette che nel filmato erano presenti immagini del passaggio a volo capovolto sulla cresta delle montagne e altri segmenti del tragico volo, dicendo di averla distrutta perché preoccupato che tali elementi sarebbero stati “interpretati male” dagli investigatori.
La magistratura italiana, così come l'opinione pubblica, preme affinché l'equipaggio dell'EA-6B venga processato in Italia, ma esistono gli accordi internazionali, e uno di questi – lo Stanag 3531 in ambito Nato – prevede, come indirizzo di carattere generale, che la responsabilità della condotta dell’investigazione di sicurezza del volo venga delegata alle autorità militari dello Stato che ha impiegato l’aeromobile, pur indicando come titolare primario per l’investigazione lo Stato ove sia avvenuto l’incidente, e che, solo nel caso in cui quest’ultimo non sia in grado di svolgere l’inchiesta, la responsabilità venga riattribuita allo Stato sul cui territorio sia accaduto l’incidente. Aereo americano, processo americano.
A marzo del 1999 la corte marziale statunitense assolve il pilota Richard Ashby, sulla cui testa pendevano 20 capi di accusa tra cui omicidio colposo, violazione di consegna e distruzione di proprietà, dopo 7 ore di camera di consiglio. Gli avvocati di Ashby sostengono che l'impianto di risalita non era sulle mappe militari del capitano, un punto su cui i pubblici ministeri e gli avvocati della difesa si trovano d'accordo. La difesa riesce a provare anche che il radar-altimetro non funzionava bene – ma il sospetto è che lo avessero spento – e che un'illusione ottica faceva sembrare che l'aereo stesse volando più in alto di quanto non fosse.
Inoltre, i testimoni hanno riferito che l'equipaggio del “Prowler” potrebbe non essere stato informato che la limitazione dell'altitudine di volo nell'area era stata aumentata da mille a 2mila piedi (305-610 metri).
Ashby e Schweitzer vengono comunque processati e condannati per intralcio alla giustizia per aver distrutto il nastro con una prova ritenuta fondamentale: il primo viene condannato a sei mesi e al congedo con disonore, venendo scarcerato per buona condotta dopo cinque, il secondo invece patteggia e in questo modo, dopo essere stato anch'esso congedato, riesce a evitare il carcere.
L'esito della Commissione parlamentare d'inchiesta
L'impatto mediatico è comunque forte e la vicenda scopre un vaso di Pandora che le autorità militari americane avrebbero preferito restasse chiuso. Le indagini, certificate anche dalla Commissione parlamentare di inchiesta italiana, dimostrano delle “falle” nella catena di comando statunitense e il quasi sistematico non rispetto delle norme di sicurezza del volo da parte dei piloti statunitensi, sul cui agire i comandi americani chiudevano più di un occhio.
Le indagini della Commissione permettono infatti di raccogliere una serie di indizi che fanno ritenere i reparti di volo dei Marines in Italia avvezzi a essere indisciplinati quando si trovavano a operare fuori da uno specifico contesto bellico. Usi a voli a bassissima quota in violazione delle regole di sicurezza e, fattore ancora più sconcertante, che la rotta Av047, quella del volo della tragedia, fosse sfruttata, per le possibilità panoramiche e spettacolari che offriva ai piloti.
Nella fattispecie sembra che proprio la deviazione dalla rotta stabilita in quel giorno di febbraio fosse stata fatta dal capitano Ashby per effettuare un passaggio particolarmente spettacolare e così festeggiare il prossimo rimpatrio. I comandanti erano dunque consapevoli, e responsabili, della condotta dei propri piloti e le tolleravano per malinteso spirito di gruppo. Questo assunto trova conferma nel sollevamento dall'incarico del tenente colonnello Muegge, comandante del Vmaq-2, che è stato trovato colpevole di violazione di consegna da parte della corte marziale statunitense.
All’epoca dell’incidente, si legge ancora nel rapporto della Commissione, ci sono state carenze e complessità nella catena di comando americana e nella sua azione di supervisione, evidenziando carenze nella diffusione delle regole di volo italiane tra il personale americano, oltre alla scarsa chiarezza e incisività dei collegamenti tra comandi italiani e americani nelle nostre basi. Questa situazione sembra aver favorito una prassi volta a effettuare attività di volo a bassa quota al di fuori delle regole. Questo spiega sia perché le quote di volo non venissero sistematicamente rispettate, sia perché i comandi americani preferissero usare carte topografiche proprie, in loco di quelle fornite dall'Aeronautica Militare, che, nella fattispecie, indicavano la presenza della funivia.
Giustizia non è stata fatta
Cosa resta alle famiglie? Cosa rimane da dire alla giustizia italiana? Poco o nulla. A febbraio del 1999 il governo italiano paga 65mila dollari alle famiglie di ogni vittima. Più tardi, a maggio dello stesso anno, il Congresso degli Stati Uniti respinge un disegno di legge che avrebbe istituito un fondo di risarcimento di 40 milioni di dollari per le famiglie delle vittime. Successivamente, a dicembre, il Parlamento italiano approva un ulteriore risarcimento di 1,9 milioni di dollari per vittima, di cui, secondo i trattati Nato, gli Stati Uniti sono obbligati a versarne il 75%.
Anni dopo, nel 2011, uno scoop de La Stampa, che ottiene dei documenti dei Marines riservati, ci porta a conoscenza del pieno riconoscimento delle responsabilità dei piloti già un mese dopo l'incidente.
“La causa di questa tragedia è che l'equipaggio ha volato molto più in basso di quanto autorizzato a volare, mettendo a rischio se stesso e gli altri”, si legge, ma non è servito a nulla, come non sono serviti quei soldi di risarcimento per una giustizia che non è stata fatta.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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