Quell'attimo che ti strappa la #vita

Quando si spezza la corda della funivia, di colpo non pensi a che smalto porti per tenerti saldo alla vita, a chi ha vinto, a chi ha perso, alle tasse universitarie, al telegiornale cosa dirà...

Quell'attimo che ti strappa la #vita

Quanto ci mette una cabina della funivia a cadere a terra prima di impattare con il terreno e accartocciarsi, senza lasciare scampo a chi aveva appena pagato il biglietto per passare una domenica di sole di fronte al bel panorama? Pochi lunghissimi istanti. Lo sappiamo perché è già successo da noi. Nel '98, quando un jet dei Marines che giocava a bassa quota tranciò i cavi sul Cermis. Morirono tutti. Ieri, invece, tra la città di Stresa e le pendici del Mottarone, si è trattato solo di tragica fatalità: una la fune trainante o portante che si spezza proprio in quel momento, e i freni d'emergenza che non funzionano.

A bordo c'erano 15 persone, a causa della capienza ridotta per ragioni Covid. Coppie giovani e meno giovani, una famiglia con origini israeliane che forse ha seguito al telegiornale l'escalation di Gaza, e ha ringraziato di essere al sicuro, qui in Italia, o forse aveva ignorato la questione a piedi pari, che di giorno c'è troppo da lavorare e la sera bisogna tirare giù la lista delle cose da comprare al figlio di due anni che sta crescendo. Un giovane iraniano, che forse oggi avrebbe letto come un famoso regista della sua terra, è stato assassinato dalla famiglia perché "corrotto" dal modo di vivere occidentale, e ne sarebbe inorridito mentre ascoltava nelle cuffie un pezzo trap, e contava di mettersi lo smalto sulle unghie come fa Fedez. Era nato proprio l'anno in cui cadeva la funivia sul Cermis.

C'era chi festeggiava il proprio compleanno con il marito, e forse era felice per il regalo promesso o già ricevuto; o forse triste perché qualcosa, magari al ristorante o in albergo non era andato come previsto. Un conto troppo salato la sera, una macchia sulla camicia che rovinerà la foto, una discussione per qualche paturnia che proviene dal lavoro e non ci fa mai staccare, nemmeno in vista del pranzo di un giorno di festa. E poi altre coppie, ragazzi e ragazze, che magari pensavano al bollo delle macchina da pagare; a dover prenotare un viaggio quest'estate per non litigare, alle palestre che finalmente riaprono e quindi si deve tornare, per arrivare pronti, tutti, uomini e donne, alla prova costume e allo sguardo impietoso di una società frivola e giudicante. Le scarpe alla moda, le giacche alla moda, i ristorati alla moda. Una moda che dura o non dura, che si rinnova nelle tendenza e nei dogmi sociali, e ormai non risparmia nemmeno le coppie più anziane, che magari stavano penando alla pensione da raggiungere a fatica, o al vaccino che gli avrebbe fruttato il green pass per avventurarsi oltre confine, da affetti distanti. Nel silenzio di una cabina della funivia che risale la montagna, che sia un giorno di inizio primavera o di fine inverno, di solito si guarda il panorama in silenzio, e si tace come in ascensore: perché lo spazio è poco e la gente è tanta. E non si vuole sempre convidere gli affari propri. Così tutti fanno dei pensieri. Meditano sui loro desideri presenti, passati e futuri, su quello che diranno, su quello che faranno, su quel che forse avrebbero dovuto o dovrebbero fare. Oppure pensano a frivolezze, oggetti: macchine, borse, viaggi, case, passeggini, squadre di calcio vincenti o perdenti, cene fuori, alla mattonella sbrecciata all'ingresso di casa che forse sarebbe bene cambiare per quando ci sono gli ospiti, il tradimento, la voglia di essere liberi, il coraggio di cambiare.

Poi in questi casi, un rumore spezza il silenzio. Solo urla. Poi silenzio ancora. All'unisono. Definitivo, anche nei pensieri di 14 persone che insieme hanno perduto la vita. C'è un unico sopravvissuto, in lotta tra la vita e la morte all'ospedale Regina Margherita di Torino. Oggi ha ancora 5 anni. Perde una madre tanto più giovane di chi scrive, e all'idea dei figli neppure ci pensa, e un padre quasi coetaneo.

Augurargli la vita per quanto ovvio, non è abbastanza. L'augurio è quello di crescere con una leggerezza che temiamo non gli apparterrà: di vederlo su Tik Tok o il social che sarà, a ballare con un gatto in braccio la canzone virale del momento.

Di vestirsi da trapper, o di imitare i giovani influncer, se ancora ce ne saranno, del momento. Di farsi i selfie mentre si bacerà appassionatamente con una ragazza, o con un ragazzo che avrà scelto, in quel momento. Di dimenticare ciò che può accadere e spazzare via tutto, in un momento.

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