Anche nell'emergenza la politica non è immune dalle critiche

In questa strana Italia ormai alzare un sopracciglio, esprimere una riserva e, magari, rilevare un errore sull'operato del governo, viene considerato una polemica e, conseguentemente, paragonato ad un delitto di lesa maestà

Anche nell'emergenza la politica non è immune dalle critiche

In questa strana Italia ormai alzare un sopracciglio, esprimere una riserva e, magari, rilevare un errore sull'operato del governo, viene considerato una polemica e, conseguentemente, paragonato ad un delitto di lesa maestà. Eppure i numeri di questa crisi epocale ieri siamo arrivati a 28mila contagiati totali e a 2.158 decessi - stanno lì a dimostrare che qualcosa non ha funzionato e, al di là dei giusti quanto pleonastici richiami all'unità, forse bisognerebbe innanzitutto adoperarsi perché un domani tutto funzioni, visto che in quest'emergenza, o meglio in questa guerra, che si preannuncia lunga, contro un nemico invisibile quanto insidioso, uno sbaglio, uno soltanto, può rivelarsi fatale. Motivo per cui fa bene l'opposizione a mettere da parte le polemiche e, farebbe ancor meglio, a spogliarsi dell'espressione «l'avevo detto», si tratti di Salvini o della Meloni poco importa, ma il governo, in primis il premier, dovrebbe accogliere i rilievi seguendo il consiglio di Voltaire: «Gli uomini si sbagliano, i grandi uomini confessano di essersi sbagliati».

E qualche errore, uno lo dice in pieno spirito di collaborazione, è stato commesso. Eccome. Primo fra tutti non aver creato dei cordoni sanitari veri quanto efficaci, magari affidandoli all'esercito, sui primi focolai. O, ancora, aver tentennato quel sabato nero, annunciando 25 ore prima che entrasse effettivamente in vigore, il decreto che avrebbe chiuso la Lombardia, permettendo a 100mila persone (ormai i numeri si conoscono) di spostarsi dal Nord al Sud. E reiterando lo stesso errore venerdì scorso quando altre decine di migliaia di cittadini hanno seguito la stessa rotta (la notizia è stata riportata da tutti i giornali). Errori che, nell'atmosfera dell'emergenza, nello spirito del non disturbare il manovratore, sono stati esorcizzati, ma che possono avere conseguenze letali. Quelle vicende, infatti, per usare il gergo militare, hanno determinato la rottura del fronte, è venuta meno la «linea gotica» tra un Nord alle prese con l'epidemia e un Sud che ne era ancora per lo più indenne: sono cioè saltate le cosiddette zone rosse, o presunte tali, e i potenziali contagiati si sono riversati per tutta la penisola. Risultato: la guerra che si svolgeva sul fronte settentrionale ormai si sta trasferendo in tutta la penisola, visto che i numeri della epidemia salgono dal Piemonte alla Sicilia; se prima c'erano zone contagiate e zone franche, ora si rischia di dover affrontare la guerra città per città, quartiere per quartiere, casa per casa. Addirittura il Palazzo è sotto assedio, con il ministero dell'Ambiente chiuso per tre giorni e il Parlamento, per funzionare, si appresta ad accettare l'ipotesi del voto online.

Sembra uno scenario apocalittico, solo che somiglia molto alla realtà. Ecco perché c'era bisogno di uno «stratega», esperto in questo tipo di guerra come Bertolaso per coordinare questa fase. Invece, altro errore, il governo ha bocciato l'ipotesi più per la presunta appartenenza politica del personaggio, che non per dei rilievi non avrebbe potuto farlo - sulla sua competenza. Così continua l'andazzo di queste settimane: chi è al fronte chiede misure più drastiche, mentre a Roma si temporeggia. Siamo arrivati al punto che il governatore del Veneto, Luca Zaia, uno che aveva capito fin dall'inizio le dimensioni dell'emergenza, ha chiesto il coprifuoco. Una proposta che non può essere liquidata come la solita provocazione sovranista e sopra le righe, visto che lo stesso strumento viene teorizzato al di là delle Alpi da un europeista come Macron.

Motivo per cui Giuseppe Conte farebbe bene a non scambiare i rilievi per polemiche, o meglio, a considerarli per quello che sono, cioè consigli. Sia sull'emergenza sanitaria, sia su quella economica. Li avesse ascoltati oggi non sentiremmo i lamenti del sindaco di Alzano, Camillo Bertocchi, che per settimane ha richiesto la «zona rossa» invano e oggi piange 50 vittime. La verità è che non tutti sono ancora consapevoli del pericolo, usano l'espressione guerra ma non l'accolgono per intero nei loro ragionamenti. Mentre il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, auspica l'intervento dell'esercito, quello della Puglia, Michele Emiliano, anch'esso del Pd (così le polemiche tanto deprecate restano fuori dalla porta), lo rifiuta, con una motivazione «tardo ideologica» che rasenta la follia: «... Se aggiungiamo l'esercito, si evocano brutte cose». Eppure negli Stati Uniti, una delle patrie della democrazia, Donald Trump ha mobilitato la guardia nazionale. Perché da che mondo è mondo, non c'è da studiare i manuali di logistica, i cordoni sanitari visto lo spiegamento di forze che richiedono - li fa l'esercito e non la polizia.

E vedrete che alla fine succederà anche da noi, solo che avverrà non per una scelta dei nostri governanti, che nella loro lungimiranza anticipano gli eventi, ma perché saranno incalzati e costretti dai numeri dell'emergenza. In fondo si va avanti così dall'inizio di questa guerra. Matteo Renzi ha dichiarato ai giornali stranieri: «Spero che non ripetiate i nostri errori». Giuseppe Conte se l'è presa, ma non ha fatto certo tesoro della lezione cinese che ha vinto la sua battaglia contro il Coronavirus, isolando l'intera regione di Wuhan per mesi. Qualcuno obietterà che quello è un regime, certo, ma la guerra che ha combattuto è la stessa che stiamo combattendo noi. E ora che il fronte si è rotto, ora che tutto il resto del Paese rischia di essere investito, non va dimenticata una triste verità: in Italia il Nord è una cosa, il Sud un'altra; per fare un esempio, il sistema sanitario lombardo che rischia di crollare, è il paradiso rispetto all'inferno calabrese. Per dirla con i numeri: in Calabria 8 ospedali sono stati indicati per i malati Covid, ma due non sono neppure provvisti di reparti di terapia intensiva, mentre sull'utilizzo di quello che sulla carta dovrebbe essere il più adatto, il Mater Domini, qualcuno pone delle difficoltà, visto che è un ospedale universitario. Insomma, anche se nessuno se ne è accorto, la battaglia di Caporetto già c'è stata, ora c'è bisogno di difendere la linea del Piave per tentare la riscossa. Non è una polemica, ma un incoraggiamento a non ripetere gli errori.

Con un consiglio al premier: dopo aver letto «nell'ora più buia» i discorsi di Churchill, si dedichi a Cicerone. «Chiunque scriveva nelle Filippiche può sbagliare; ma nessuno, se non è uno sciocco, persevera nell'errore».

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