C hi ha il diritto, il privilegio, di poter combattere l'antisemitismo che è riapparso, ripugnante, in tutto il mondo? Nei giorni prossimi a Gerusalemme si apre una conferenza mai vista prima, in cui da Netanyahu a Putin a Mattarella a Macron tutti si consulteranno su come battere questo fenomeno. Sembra ovvio, logico: la memoria della Shoah, lo stupore indignato di chi 70 anni dopo assiste a una crescita verticale di odio contro il popolo ebraico, l'aggressione contro le persone, i simboli, i luoghi di culto, contro la sua legittimità ad esistere, unisce. In realtà l'unità su come combattere questa battaglia è un serissimo problema. Ogni guerra richiede un'analisi e quindi una strategia accurata, e qui invece esse sono tante e spesso inconciliabili.
Da una parte infatti c'è una dimensione utopistica, quello che in inglese si chiama un wishful thinking: essa vede la lotta tutta volta verso destra, il luogo essenziale, classico, dove l'antisemitismo deve essere storicamente collocato nel secolo scorso, l'era della Shoah. Il nazifascismo è indubitabilmente l'autore e il responsabile del maggiore fra i genocidi, più di sei milioni di persone innocenti e fra di loro un milione e mezzo di bambini. È così, e forse ancora la destra responsabile non ha fatto sufficientemente ammenda, e anzi alcuni suoi gruppi insistono su quel ceppo ideologico e sono orridi e degni di ogni punizione. Di certo, la parte suprematista bianca contemporanea ricorda la pretesa razzista che predicava la riduzione in schiavitù di chi non apparteneva al ceppo ariano bianco. Contemporaneo a quel ceppo ce n'è un altro colossale a sua volta quello che nasce col comunismo, diventa prosecuzione capillare al tempo di Stalin, si trasforma a piacere in accuse di complicità coi crimini del capitalismo, dell'imperialismo e oggi, molto diffuso, si posa in forma rimodernata sull'odio contro Israele. Corbyn ne è l'ultimo portatore, in larga compagnia. Poi c'è un terzo tipo di antisemitismo, quello citato da Matteo Salvini (in realtà ha parlato di tutti i tipi di antisemitismo condannandoli in massa senza nessuna remora): quello importato dalle migrazioni musulmane in Europa. In genere viene obliterato perché dispiace, ma è stato verificato senza remissione sin dal 2002 dalla commissione dell'Ue sul Razzismo che fu incaricata da Romano Prodi: i risultati però erano imbarazzanti e il Financial Times la riesumò da un cassetto. Da allora sono state fatte centinaia di ricerche sull'argomento, e tutte dimostrano la stessa cosa: che gran parte dei musulmani immigrati sono antisemiti (lungi da noi farne un dato fisso): in Belgio secondo un'analisi dell'Adl del 2015 lo era il 68% contro il 21 (e non è poco) dei cittadini di altra origine, in Francia 49 a 17, in Germania 56 a 16, in Inghilterra 57 a 12. Altre analisi dicono che il loro antisemitismo è antisionismo, ma chi conosce il discorso pubblico sugli ebrei nell'islamismo, sa che i termini sono sovrapposti. Inoltre gli attentati terroristici che hanno preso gli ebrei di mira in Europa sono stati compiuti da islamici che poi li hanno rivendicati in nome di un'ideologia jihadista, come Mohammed Merah quando ha ucciso a Tolosa tre bambini e il loro maestro che entravano a scuola, e così tutti gli altri. Merah ha detto che ammazzava i bambini ebrei come gli israeliani ammazzavano quelli palestinesi. Per chi immagina che si possa essere filoebrei e antisionisti, ovvero negare al solo popolo ebraico il diritto all'autodeterminazione, il consiglio è di attenersi alle famose tre D di Nathan Sharansky, per identificare la critica legittima e l'antisemitismo. Antisemitismo è «Delegittimare» lo Stato d'Israele con le menzogne che ormai a quintali gli si sono accumulati addosso (stato di apartheid, genocidio dei palestinesi, uso della Shoah), «Demonizzazione» (una fra le tante?, che l'esercito uccide i giovani palestinesi per impossessarsi dei loro organi e venderli) doppio standard (cioè, condannare i cosiddetti «Territori occupati» e ignorare quelli occupati da Turchia, Cina, Marocco e così via). Nella polemica stranamente gran parte del mondo ebraico e dei suoi amici rinunciano all'evidente unicità dell'antisemitismo: si parla molto della sua intersezione con la cosiddetta «politica dell'odio». Cioè, chi combatte gli antisemiti deve essere parte del grande schieramento «intersezionale» contro l'oppressione, deve militare in parecchi altri campi, per i confini aperti, nel campo anticolonialista (ma è finito da tempo), femminista (non c'entra però), paladino delle teorie di gender (anche questo ha poco a che fare)... scivolando alla fine su terreni incerti, dove si incontra la violenza, il terrorismo, la cultura del politically correct che ti suggerisce di negare la unicità della persecuzione degli ebrei e forse alla fine anche quella della Shoah. Chi scrive ha da sempre un forte impegno liberal nel campo del femminismo, dell'uguaglianza, dei diritti dei gay.
Ma l'antisemitismo ha una sua dimensione unica, il popolo ebraico lo si accusa di tutto e del suo contrario, l'unico di cui si è scientificamente progettata l'eliminazione, l'unico che da millenni abbia subito persecuzioni e se ne sia rialzato grazie alla sua forza spirituale da cui nasce il pensiero moderno fino alla democrazia, l'unico che riponga il suo futuro in uno Stato democratico e capace di difendersi. Unico è il Popolo ebraico, e l'antisemitismo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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