Aprire con cautela il mantra di Draghi

Riaprire, ma con cautela. È questo l'approccio di un Mario Draghi che già in tarda mattinata non nasconde le sue preoccupazioni sul fronte dell'emergenza sanitaria

Aprire con cautela il mantra di Draghi

Riaprire, ma con cautela. È questo l'approccio di un Mario Draghi che già in tarda mattinata non nasconde le sue preoccupazioni sul fronte dell'emergenza sanitaria. Nel giorno in cui il governo mette nero su bianco la bozza del decreto sulle riaperture che dovrebbe essere approvato oggi in Consiglio dei ministri, il premier sottolinea infatti come la battaglia contro il Covid-19 non sia per nulla agli sgoccioli. Anzi - spiega durante i lavori preparatori del Global Health Summit - la sfida «inizia ora», perché «non sappiamo per quanto tempo durerà questa pandemia» o «quando ci colpirà la prossima». Non c'è allarmismo nelle parole di Draghi, solo la consapevolezza che la strada da fare è ancora lunga. Non a caso, annunciando le riaperture, la scorsa settimana aveva parlato di «rischio ragionato». E ieri, durante il webinar preparatorio del vertice che si terrà a Roma il prossimo 21 maggio, si è mosso con prudenza forse anche maggiore, dicendo senza troppi giri di parole che «l'attuale pandemia ci impone di essere meglio preparati per il futuro», ragione per cui va «sostenuta la ricerca» e «ristrutturato il servizio sanitario nazionale».

Il premier non parlava in conferenza stampa, certo. E la sessione di lavoro on line insieme alla presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen non era in diretta tv, ma rivolta ad addetti ai lavori. Detto questo, è di tutta evidenza che Draghi sapeva benissimo che il messaggio sarebbe subito rimbalzato all'esterno. Non solo lo sapeva, era proprio nelle sue intenzioni. Perché alla vigilia del nuovo decreto - che nella percezione del Paese riaprirà tutto dal 26 aprile - la preoccupazione dell'ex numero uno della Bce è che si scivoli in un attimo in una sorta di «liberi tutti». Il premier, invece, è ben consapevole dei rischi, certificati dai numeri epidemiologici che continuano in parte a preoccupare. Un tema, questo, che è stato oggetto di diverse riunioni a Palazzo Chigi. Draghi, però, ha dovuto contemperare l'esigenza sanitaria con quella economica. Anche in considerazione di una protesta sociale che ha allertato i servizi di Sicurezza.

Da persona «concerta», come spesso si definisce, il presidente del Consiglio ha dunque voluto lanciare un messaggio che è lontano anni luce dal trionfalismo con cui Matteo Salvini accoglierà il decreto di oggi. Perché la parola d'ordine è prudenza, tanto che lo stato d'emergenza per il Covid verrà comunque prorogato per altri tre mesi, fino al 31 luglio. E che la scuola superiore - questa è stata la proposta di mediazione del ministro per gli Affari regionali, Mariastella Gelmini - dovrebbe riaprire in presenza non al 100%, ma «almeno» al 60%. Così da venire incontro alle perplessità dei governatori, preoccupati dalla capienza dei trasporti pubblici, ridotta del 50% proprio per le regole anti-Covid. Insomma, è il ragionamento fatto da Draghi con diversi ministri, bisogna sì dare «un messaggio di fiducia» al Paese, ma «non possiamo vanificare» quanto fatto fino ad oggi. L'idea è quella di andare oltre l'appello al buon senso e sostenere un'azione di controllo molto rigida, con sanzioni per chi non rispetterà le regole. Insomma, no al «liberi tutti». Mascherina e distanziamento, ripete il premier, sono comportamenti che dovranno essere «osservati scrupolosamente».

Sullo sfondo, resta il solito braccio di ferro tra aperturisti e chiusuristi, con la battaglia che oggi in Consiglio dei ministri si concentrerà sul coprifuoco. La Lega chiede sia posticipato alle 23, l'ala più prudente - capeggiata dal ministro della Salute, Roberto Speranza - resta per le 22. Si parla di un'ora di differenza, dopo mesi barricati in casa. Di fatto, una sfumatura. Che però oggi diventerà il termometro per interpretare se - politicamente parlando - hanno vinto gli uni o gli altri. Intanto Draghi si concentra sul Recovery fund.

Dove ci dovrebbero essere almeno 19 miliardi di euro destinati alla ristrutturazione del Ssn, soprattutto rafforzando la medicina territoriale. Perché, per usare le parole del premier, «non sappiamo» quanto durerà questa pandemia o «quando ci colpirà» la prossima.

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