Oggi mia nonna compie 95 anni, ma non festeggerà. Poco meno di un mese fa si è rotta il femore. È finita, abbiamo pensato noi. Lacrime e abbracci mentre veniva caricata sull'ambulanza, lei ha anche scherzato: «Mi porto avanti, vado a prendere il posto in paradiso». «Ma nonna quella era Madre Teresa di Calcutta, non esagerare!». Sapevamo che per colpa del virus non l'avremmo potuta vedere. Mai però avremmo immaginato di subire l'ottusità di un sistema che segue linee guida senza mediazioni. L'unica scialuppa, un amico che lavora in ospedale che è come un fratello. È stato i nostri occhi, i nostri incoraggiamenti, il nostro abbraccio che è mancato. Subito dopo l'intervento, grazie all'intercessione del primario, siamo riusciti a intravederla cinque minuti. Poi, più niente. «Le visite parenti sono sospese» è la frase che ci ripetono chiudendoci la speranza in faccia. «La paziente reagisce alle terapie». Non entra nessuno e il blocco non si forza. Eppure Elsa resiste.
Scalando i limiti dell'età, spernacchiando il pessimismo di famiglia. Trasferita nel reparto di riabilitazione del Don Gnocchi di Salice Terme, la sua condizione di carcerata non cambia. Continua a non potere vedere nessuno dei suoi cari. Neppure con i dispositivi, messi ad opera d'arte, neppure nel giorno del compleanno, neppure dietro un vetro.
Si aspetta fuori, in mezzo alla strada, a sperare in un atto di umanità, ma le regole restano insormontabili come un muro di gomma. Lei, dal terzo piano, resta aggrappata ai ricordi e a quella videochiamata settimanale che le viene concessa. Mento che balla e occhi che si riempiono di lacrime. E comunque, auguri!
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