Si comunica ai lettori che il matrimonio tra una certa Chiesa e quel che resta del comunismo si è celebrato ieri nelle edicole di tutta Italia. Il cattocomunismo si è manifestato in modo plastico, visivo, cristallino, stampato nero su bianco. Peppone e Don Camillo. Il diavolo e l'acquasanta. Compagni e preti. Nel Belpaese tutto è possibile, ogni estremo - ammesso che si tratti di un estremo - è accoppiabile. È successo ieri in edicola, dove il Manifesto - quotidiano comunista (così recita la testata) - e Avvenire - quotidiano di ispirazione cattolica (così recita la testata) - si sono presentati ai lettori - presumibilmente diversi - con lo stesso titolo: «Fuoco a terra».
Un bel titolo, a effetto. Dedicato alla tragedia del rogo nel «gran ghetto» di Rignano, nel Foggiano, dove hanno perso la vita due extracomunitari; e ispirato al documentario di Gianfranco Rosi, Fuocoammare. È il sogno jovanottiano di una grande Chiesa che parte da Che Guevara e arriva fino a madre Teresa, l'utopia di poter mettere insieme cose che hanno poco in comune, appiccicandole con il collante di un buonismo d'accatto. Non è una novità che la sinistra e una certa Chiesa vadano a braccetto, ma vedere due titoli fotocopia su due giornali che dovrebbero essere agli antipodi fa un certo effetto.
Perché dimostra in modo efficace come ci sia uno stesso brodo di coltura, uno stesso salottino culturale, quegli stessi riferimenti un po' terzomondisti e un po' radical chic, quello sbandierato interesse per gli ultimi - senza tema di smentita i migranti di Rignano sono degli «ultimi» - e quel malcelato disinteresse nei confronti dei penultimi, che molto spesso, però, sono degli italiani.
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