Berlinguer, il rispetto oltre i (tanti) errori politici

L'editoriale di Vittorio Macioce sulla standing ovation di Fratelli d'Italia in memoria di Enrico Berlinguer, ieri, celava qualche recondita ragione che spingeva a voler rileggere per capire se qualcosa non quadrasse. Ma quadrava tutto

Berlinguer, il rispetto oltre i (tanti) errori politici
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L'editoriale di Vittorio Macioce sulla standing ovation di Fratelli d'Italia in memoria di Enrico Berlinguer, ieri, celava qualche recondita ragione che spingeva a voler rileggere per capire se qualcosa non quadrasse. Ma quadrava tutto. Non c'era nessun sofisma, nessun artifizio retorico, non appariva per nulla complicato spiegare perché un politico di lungo corso come Ignazio La Russa, coi piedi ben radicati nella parte più sana della Prima Repubblica, avesse operato una distinzione tra l'uomo (Enrico Berlinguer) e il nemico politico (Enrico Berlinguer) anche alla presenza della figlia Bianca (Berlinguer) che ha incassato poi un plauso non scontato, sicuramente non programmato (non sino a quel punto) che suonava coerente, normale, eppure eccezionale. Ecco, forse era questo che non quadrava: che un gesto relativamente normale, ormai, fosse divenuto così eccezionale da aver bisogno di un articolo per essere spiegato, sottolineato, opposto a qualcosa di evidentemente così desueto, oggi, da correre il rischio di suonare strambo, o per dirlo ancora con l'editoriale di ieri: «Un corto circuito, un salto quantico nella visione binaria della politica, dove il rosso e il nero si toccano solo per fare a botte».

In realtà lo sappiamo tutti che ogni riferimento a certi tempi che furono, oggi, suona come una pagliacciata rispetto ai drammatici ultimi vent'anni della Prima Repubblica, quando il rosso e il nero facevano a botte veramente, e le espressioni «fascista» e «antifascista» avevano un pur già datatissimo significato. Sappiamo che ogni colore appare scangiato, e che, sempre oggi, i neo drammaturghi delle tinte fosche hanno come unica attenuante la loro grassa ignoranza: non sanno letteralmente di che parlano, sono i soliti interpreti della Storia che diviene farsa. Uno come il Presidente del Senato Ignazio La Russa, per tornare sul seminato, sa benissimo che Enrico Berlinguer è quel signore che perse il referendum sulla scala mobile, che scelse di non schierarsi con gli Stati Uniti e che flirtò semmai con i sovietici che intanto puntavano missili nucleari contro di noi, che rappresentò la sinistra che non volle trattare durante il rapimento di Aldo Moro, che rifiutò ogni autonomismo e ogni riformismo che erano cavalli di battaglia di un altro signore che signoreggiava nell'odiato Psi. Il presidente del Senato, e non solo lui, sa benissimo che Berlinguer ci avrebbe condotti a un destino greco perché le sue posizioni su mercato liberalismo erano da suicidio, tanto che per lustri la sua sinistra bloccò ogni opera e infrastruttura pubblica che fosse più grande di una capocchia di spillo. Stiamo parlando, ecco, di un «nemico politico» che predisse il fallimento del capitalismo, che rilanciò la «questione morale» di un partito che prendeva segretamente rubli dall'Unione Sovietica (nostra controparte politica e militare) e tutto questo con la stessa e ipocrita aura di superiorità, assai probabilmente, che favorì quell'antipolitica e quel qualunquismo che non si riversarono in una pulsione rivoluzionaria, alla fine: ma nel giustizialismo di Mani Pulite, che purtroppo anche la destra italiana conosce bene.

Ma oggi c'è una genìa di poveretti che finge il pathos di chi stia vivendo ancora sotto la cortina di ferro: e che si agita, lancia appelli, abbandona le trasmissioni televisive, improvvisa chat resistenziali, categorizza tra vecchi o nuovi generi dell'odio, e magari sì, ecco, ha bisogno di un articolo di giornale per scoprire (e non capire) che Giorgio Almirante si presentò ai funerali di Enrico Berlinguer dove presenziò normalmente anche il nemico giurato Bettino Craxi, i cui amarcord furono accolti da L'Unità con dignità e rispetto. Un altro nemico di Craxi, parentesi, fu il comunista di lungo corso Giancarlo Pajetta, e Ugo Intini morto da poco in un suo libro ha scritto questo: «Craxi mi disse: Devi piantarla di attaccare Pajetta.

E perché? Perché è un compagno anziano». Ma sono parole che certa genìa politicante di oggi, la stessa che avrà trovato sospetta o traditrice la stretta di mano tra Bianca Berlinguer e Ignazio La Russa, forse non può capire. Servirebbe un articolo.

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